Mese: Ottobre 2022

CHI E’ IL FRATELLO DELLO ZIO SAM?

CHI E’ IL FRATELLO DELLO ZIO SAM?

Joe Biden, Vladimir Putin, Xi Jinping; tre persone potenti fino al punto di diventare sinonimi delle nazioni che guidano, fino al punto di aver fatto divenire i loro nomi e quelli dei loro Paesi intercambiabili nel giornalismo internazionale. Tuttavia, all’appello manca un altro attore, da sempre protagonista dello scacchiere geopolitico mondiale: l’Unione Europea.

Infatti, nel Vecchio Continente manca una figura di spicco, qualcuno di così influente che possa rappresentare non solo l’Unione ed i suoi valori, ma anche le nazioni che non ne fanno parte. Naturalmente, il pensiero si rivolge alle sue quattro maggiori economie: Germania, Francia, Regno Unito ed Italia. Ciò che questo articolo si pone, è di analizzare sinteticamente le situazioni politiche interne a questi Paesi ed infine il motivo del vuoto di “influenza” al livello intergovernativo.

Prima all’appello è la Repubblica Federale Tedesca, il Paese guidato fino all’8 dicembre 2021 da Angela Merkel, la persona che più si è avvicinata ad essere l’identità dell’Unione. Al giorno d’oggi, dopo quasi dieci mesi di mandato, molte persone che non si informano regolarmente di affari esteri non riuscirebbero a ricordare il nome di Olaf Scholz, l’attuale Cancelliere Federale, colui che è succeduto alla Merkel. Dunque, non può essere lui la figura centralizzante: una persona conosciuta per aver lavorato dietro le quinte di molti partiti e governi, una persona il cui soprannome è “Il politico più noioso d’Europa”, che, pur avendo le capacità di prendere decisioni spesso difficili e impopolari, è privo di quel carisma che tanto condiziona i leader di oggi. La politica di oggi ha necessariamente bisogno di curare anche l’aspetto, oltre che le competenze: se ha i riflettori puntati addosso, anche una segreteria diventa un palcoscenico.

Chiarito questo primo aspetto, ne si individua anche un altro, molto più sostanziale, sul perché Olaf Scholz non può essere, oltre la faccia dell’Unione, anche la mano che ne porta la fiaccola dei valori: la Germania del suo governo ha spesso preso decisioni non in linea con il principio di solidarietà che ha caratterizzato l’UE dalla sua nascita. Limitato dalla forte dipendenza energetica con la Russia, Scholz non ha da subito pareggiato lo sforzo di altri Paesi UE nel sostenere l’Ucraina politicamente e materialmente: nascondendosi dietro errori logistici e comunicativi dei propri ministeri (peraltro smentiti anche da emittenti governative ucraine), ha inviato poche armi, di qualità discutibile e relativamente attempate. Non solo, ma anche in vista del prossimo inverno, che sottoporrà tutto il Vecchio Continente, in particolar modo i Paesi del blocco tradizionale NATO, ad una prova di resistenza mai affrontata dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, Scholz sta prendendo in considerazione di sospendere alcune esportazioni elettriche verso la Francia e di istituire un proprio tetto al prezzo del gas. Tutto ciò sta comportando una perdita di status della Germania: da nazione trainante dell’Unione, a giocatore in lotta per la sopravvivenza.

Passando al Paese che più aveva possibilità di elevarsi a baluardo dell’Unione, custode dei suoi valori e guidato da una persona prontissima a diventarne il volto, la Francia di Emmanuel Macron sembra essersi affievolita con il tempo. Citando lo stesso Macron, “è finita l’era dell’abbondanza”. Partendo dai suoi stessi comizi elettorali nel 2017 in cui, primo nel Continente, ha fatto volare bandiere europee accanto a quelle francesi, passando alle telefonate e riunioni con Putin per scongiurare il rischio della guerra che è comunque scoppiata, fino ad arrivare ad una vittoria risicata alle elezioni presidenziali ed a una maggioranza relativa alle parlamentarie, che non gli permette di governare da solo: il suo percorso al vertice racconta la storia di un capo di Stato che ha man mano perso sempre più potere, che ha scommesso sull’unità europea e ha visto dei rendimenti decrescenti alla sua scommessa. Il sistema francese, semi-presidenziale, è spesso vittima del problema noto come co-abitazione: essendo frutto di due elezioni differenti, è possibilissimo che il presidente (capo di Stato, ma non del Governo) e la maggioranza parlamentare non siano dello stesso partito, pur essendo entrambi espressione della volontà popolare. Ciò comporta relativa difficoltà di legislazione, ed è il problema che, seppur in misura minore (La Republique En Marche, il suo partito, ha il maggior numero di seggi in parlamento ma non la maggioranza), Macron deve affrontare. Dunque, le energie che dedica ai problemi domestici devono essere necessariamente sottratte alla politica estera, nel momento in cui l’Unione maggiormente necessita di cure e disponibilità dei suoi componenti.

Avendo trattato dei leader impossibilitati ad ascendere al ruolo di figura cardine per colpa di affari interni, credo sia giunto il momento di discutere di quelli che non hanno fatto in tempo a rafforzarsi fino a raggiungere questa posizione, poiché hanno visto la fine dei propri mandati dall’inizio della guerra fino ad oggi.

Nonostante non sia più parte dell’Unione Europea, il Regno Unito è sempre stata una nazione principale negli affari del Vecchio Continente, sin da quando era formalmente conosciuta come “Britannia” dai Romani. Al giorno d’oggi, è da 12 anni consecutivi che al Partito Conservatore viene chiesto dal monarca di formare un governo. Il sistema inglese non è molto diverso da quello italiano: alle elezioni si scelgono i membri del Parlamento; il leader del partito che vince diventa “ufficiosamente” Primo Ministro (il processo non è codificato, ma è ormai una convenzione) e sceglie i membri del suo gabinetto (Consiglio dei ministri) tra i membri eletti del Parlamento. Il governo viene formato e governa la nazione in nome del monarca. Ciò detto, con le primarie tenutesi il 5 settembre 2022, Liz Truss è diventata la leader dei Conservatori dopo le dimissioni di Boris Johnson del 7 luglio, e ad oggi è l’attuale Primo Ministro. Tuttavia, né lei né lui sono mai stati capaci di attrarre abbastanza stima e fiducia da poter essere considerati la faccia del Vecchio Continente: lei per la sua storia e per il suo abissale tasso di gradimento, lui per i vari scandali che hanno accompagnato la sua Premiership. Qualcuno potrebbe arrivare a dire che il Regno Unito post-Brexit abbia perso lo status di “Grande Nazione” anche in Europa, ma è un’affermazione molto azzardata. I politologhi dovranno osservare ancora l’evoluzione di questo Paese e la sua salute dopo le grandi transizioni a cui è andato incontro; quello che rimane certo è che la faccia degli sforzi europei non potrà essere l’anglosassone signora bionda. Forse lo era negli anni ’80, ma sicuramente non oggi.

Sul tema della bionda chioma, ritengo opportuno passare in rassegna l’ultimo Paese dei quattro elencati sopra. Difatti, con tutta probabilità quello sarà il colore di capelli della persona a cui Sergio Mattarella affiderà l’incarico di formare un nuovo governo. Giorgia Meloni, ma più alcuni membri del suo partito ed episodi che li hanno visti coinvolti, sono stati al centro di un’asperrima campagna mediatica. Si tralasceranno queste introspezioni, che meriterebbero un articolo a sé, ad un secondo momento. Quello su cui bisogna concentrarsi è l’opposizione tra lo scorso governo, capitanato forse dalla persona più europeista tra tutta la lunga lista di Presidenti del Consiglio della storia repubblicana, e quello che arriverà a prendere le redini, il più sbilanciato a destra dello stesso lasso di tempo. La stampa internazionale ha reagito prontamente e polarizzandosi: coloro che temevano un ritorno dell’ultranazionalismo e del neofascismo, e coloro che si dicevano fieri e meditavano su come una simile figura potesse trionfare nel loro Paese. È purtroppo qui che si fermano i dati oggettivi: forse Mario Draghi era la persona diventata sinonimo dell’UE; forse la Meloni, con la sua grinta sull’identità nazionale, sarà quella che farà rendere conto alle istituzioni europee che è giunto il momento di un aggiornamento. Ciò che rimane da dire è che nemmeno nel Belpaese si può trovare il volto in cui l’Unione possa trovare il suo collante. 

Tra chi è troppo preoccupato per i propri affari interni e chi non è più al governo, sembra che nessuno tra i quattro “big” d’Europa riesca ad unire il continente sotto la sua guida. Questa situazione è poco chiara e lascia alcune domande aperte. 

Forse non saranno loro a fornire, seppur simbolicamente, queste figure? Non si può dare una risposta certa: ne è passato di tempo da quando Ernst Reuter, il primo sindaco di Berlino Ovest dopo l’erezione del muro ha unito l’Europa occidentale contro il comunismo e da quando Margaret Thatcher ha portato i primi dogmi del Reaganesimo in UK. Ciò che possiamo aspettarci per il futuro è una maggior distribuzione di potere (simbolico), in particolare dopo le spinte di Spagna, Polonia e Danimarca per delle istituzioni europee più inclusive e più disposte ad ascoltare degli Stati tradizionalmente meno considerati.

 Che non sia possibile identificare una figura simile in UE? Improbabile. Ogni schieramento geopolitico ha bisogno di un proprio leader, che sia esso un’autocrazia, una Repubblica Popolare o una democrazia. È certamente più facile identificare una persona simile entro i confini di una sola nazione; è allora necessario, se si ritiene che serva un “Mr. Europa”, centralizzare maggiormente altri aspetti amministrativi finora delegati ai singoli Stati: il primo esempio che viene alla mente, vista la situazione, è un esercito comune. Fin quando le nazioni europee rimarranno così frammentate, così necessariamente costrette a fare da sole i propri interessi, l’Unione resterà soltanto un filo di spago che tiene uniti dei pezzi del puzzle che non combaciano. 

Daniele Erminio Petecca di Riforma e Progresso

IL TERZO POLO HA GIA’ FALLITO

IL TERZO POLO HA GIA’ FALLITO

Lettera aperta di un fu “possibile elettore” 

Ciò che segue sono le riflessioni di un ragazzo che per la prima volta avrà modo di esercitare il suo diritto di voto. Un ragazzo che, pur soffrendo di questa scelta, andrà al seggio solo per annullare la sua scheda

A luglio cade il governo Draghi, il quale pur non essendo stato un governo dalle decisioni incriticabili, è senza ombra di dubbio quello che ha goduto della maggior fiducia da parte del sottoscritto, il quale si definisce semplicemente a-ideologico e razionale. Le motivazioni di questo sentimento positivo nei confronti del governo passato non sono da ascrivere unicamente alla figura del Presidente del Consiglio, il quale certamente è garanzia di competenza e razionalità, ma anche per le decisioni prese nel pratico. Oltre a diverse nonostante alcune siano state discutibili (a mio avviso sono però riconducibili principalmente ad accordi con i partiti) nelle materie di cui egli ha deciso di occuparsi ha lavorato in modo del tutto alieno rispetto ai politici italiani. Niente promesse farlocche, niente propaganda spicciola e niente indebitamenti folli al di fuori dei fondi del PNRR. Potreste pensare: “ma per così poco?” ebbene sì, visto e considerato che i nostri partiti non arrivano neanche a questo livello minimo di decenza, né durante né dopo la campagna elettorale. Indubbiamente però Draghi non ha governato da solo ed è dovuto scendere a compromessi; il che da una parte lo hanno costretto ad accettare politiche bislacche come i bonus e dall’altra ha avuto le mani legate riguardo alcune questioni che nessun partito vuole vengano affrontate (e ne parlerò a breve). 

 

Inizia quindi l’estiva campagna elettorale, la quale tra la delicata situazione internazionale, i fondi del PNRR a rischio e la possibilità di un’ulteriore possibile ondata di Covid si prospettava come la più ridicola e rivoltante di sempre. Per ora è in linea con le mie aspettative se non un pochino peggio. Ivi però mi concentrerò sull’area politica che più ho seguito con interesse non essendo né fascista o putiniano né un pensionato nostalgico di Berlinguer. Mi riferisco quindi all’area del centro i cui partiti sono +Europa, Azione e Italia Viva. 

Breve ricostruzione: Azione e +E partono come federazione, l’intenzione è quindi quella di presentare una lista comune, mentre IV resta in disparte. La Federazione decide quindi di allearsi con il Partito Democratico con un accordo sui collegi uninominali molto vantaggioso. Questa scelta venne aspramente criticata dalla base dei partiti in quanto un’alleanza con il PD costituiva per proprietà transitiva un’intesa con Sinistra Italiana e Verdi i quali sono abissalmente distanti dal centro per quanto riguarda le politiche energetiche, ambientali, e internazionali. Il PD prosegue con il suo intento di costruire una sola grande coalizione che abbia come unico obiettivo non far vincere la destra e invita a parteciparvi anche gli ex pentastellati sotto la guida di Di Maio. Calenda quindi ribalta il tavolo e rompe sia l’Alleanza con il PD sia la federazione con +E. A quel punto Azione raggiunge (comprensibilmente) il massimo livello di sfiducia il che lo avvicina a IV; i due partiti decidono di correre insieme e nasce il “Terzo Polo”. 

 

Credo sia inutile sottolineare quanto questa dinamica sia imbarazzante per tutte le forze in gioco (eccezion fatta per Renzi che ha saggiamente deciso di rimanere in disparte fino all’ultimo evitando figuracce). Quella che ne esce peggio di tutti è però Azione che rimbalzando da una coalizione all’altra in questo modo comunica solo incapacità decisionale e di pianificazione strategica. La conseguenza non può che essere un mio forte tentennamento riguardo la decisione di votare, già traballante dopo l’alleanza con il PD. Che garanzia ho che in parlamento Calenda non si comporti come una scheggia impazzita similmente a questa circostanza? Decido però di attendere il famigerato programma del Terzo Polo, quello, che scevro da compromessi dovuti a un’alleanza con la sinistra, avrebbe dovuto essere il programma dei competenti, l’Agenda Draghi, magari non uno perfetto, ma qualcosa che mi avrebbe permesso di votare convintamente il “meno peggio”. Se sto scrivendo questa lettera aperta evidentemente così non è stato. Per quanto mi riguarda questo programma è la pietra tombale che sancisce definitivamente il fallimento del Terzo Polo a meno di un mese dalla nascita. Di seguito spiegati i motivi per cui la penso in questo modo. 

 

Un “meno peggio” a mio avviso si può definire tale se e solo se pur non rappresentando le mie idee a pieno quantomeno costituisce una vera alternativa agli altri, qualcosa che si distingua, che costituisca un punto di rottura. Tuttavia il programma del Terzo polo l’unica cosa che ha rotto è stata la mia pazienza. Il programma cerca unicamente di farli apparire come gli “alternativa alla destra e alla sinistra”. Per esempio sono più razionali della sinistra in tema di ambiente ed energia, ma scelgono l’ambiguità nei diritti civili tipica della destra. Se Calenda giustamente critica Letta di aver impostato la sua campagna elettorale, in modo imbarazzante e populista, presentandosi solo e unicamente come “L’alternativa alla destra” bisognerebbe far capire al leader di Azione che in realtà sta facendo la stessa identica cosa, ma con un fronte nemico in più: “non la destra e non la sinistra”. Il piano non è fare “politica nuova” è cannibalizzare Forza Italia, il quale sta prestato il fianco in quanto eccessivamente asservito agli altri partiti di destra lasciando scontenti molti moderati. Io mi rivolgo a chi come me si definisce razionale, ma è ancora persuaso a votare, veramente pensate che un “Forza Italia” pre Salvini sia un partito alternativo? Una speranza per il paese? Potreste pensare che sto esagerando, ma se il programma non vi ha reso evidente di questa decisione di posizionamento politico, controllate quanti Ex membri di FI sono ora candidati nel Terzo Polo e guardate a chi è rivolta la loro comunicazione. Sono spiacente, ma l’assenza di Berlusconi non mi fa pensare che un partito che condivide idee, politici ed elettori sia qualcosa di diverso da una versione moderna e sbiadita di Forza Italia. Partito, che ricordiamolo, fu uno dei maggiori responsabili del rischiato fallimento del Paese. 

 

“Ma cosa avresti voluto in più nello specifico?” per prima cosa un’esplicita presa di posizione progressista sui diritti civili (giusto per rimetterci in pari con il resto del mondo occidentale): eutanasia, matrimonio egalitario, legalizzazione della cannabis…  sarebbe stata una decisione importante, ma non strettamente fondamentale. Il punto del programma che denota la mancanza di volontà del Terzo Polo di essere qualcosa di diverso e che quindi ne implica il fallimento è l’approccio alle pensioni e alle coperture. In generale le coperture sono l’argomento più spinoso di un programma e tradizionalmente i politici italiani per affrontare questo delicatissimo e fondamentale tema decide di: 

 

  1. Mentire: dire che le coperture ci sono quando non è così o non avere davvero intenzione di applicare la proposta, ma usarla solo a fini propagandistici oppure promettere che il loro provvedimento avrà un impatto così positivo da auto-finanziarsi (che nel migliore dei casi è una roulette Russa e infatti questo metodo piace tanto alla Destra). 
  1. Proporre un metodo di ricavare le risorse che in un qualche modo fa appello alla narrativa ideologica di riferimento: non ha importanza che funzioni o meno e le possibili conseguenze collaterali. (questo piace tanto alla Sinistra). 
  1. Glissare completamente: evitare di accennare alla questione e sperare che nessuno se ne renda conto. Spesso si ricorre alla menzogna quando messi alle strette (metodo prediletto dal Terzo Polo). 

 

Il Terzo Polo oltre a non discostarsi dalla tradizione, e propone un programma con un buco di svariate decine di miliardi, per quanto riguarda il tema delle pensioni la faccenda acquisisce una sfumatura grottesca. Per chi ad oggi non lo sapesse; ogni singola analisi economica e di mercato dimostra che la pressione fiscale che serve per mantenere le pensioni in essere sta strangolando il nostro paese. Le tasse sono così alte che alzarle ulteriormente è un suicidio sia sul piano politico che economico, il che costringe a dover ricorrere a deficit e scostamenti di bilancio per le politiche sprovviste di coperture, così il debito pubblico si gonfia e quindi avremo meno risorse in futuro, quindi più deficit e così via. Tutto ciò senza considerare che il rapporto tra pensionati e lavoratori peggiora di anno in anno. Non vi è alcuna via di uscita dai problemi di questo paese se non fare i conti con la realtà. E affrontare la realtà significa tagliare la spesa pubblica, in primo luogo rimodulando le pensioni (ovviamente in modo progressivo) per abbassare le tasse e il debito pubblico. E la cosa grottesca è che il programma del Terzo Polo (i competenti) sembra voler evitare anche solo di nominare il termine “pensione” in modo del tutto simile al PD (mentre a destra si pensa solo a stratagemmi geniali per peggiorare ancora di più la situazione). 

Sicuramente riceverò svariate obiezioni simili a: “eh ma così vince la destra” o “eh ma gli altri sono peggio”, mi spiace, ma se ancora la pensate così forse non avete letto attentamente la lettera o forse siete ex elettori di Forza Italia. Ho però io delle domande per voi; 

 

Vi fidate di chi è incapace di programmare stabilmente un’alleanza? 

Vi fidate di chi cerca di replicare Forza Italia in tutto e per tutto (Berlusconi escluso)? 

Vi fidate di chi si propone come l’alternativa, ma non ha il coraggio di distinguersi

Vi fidate di chi sostiene di essere dalla parte dei giovani, ma poi gli promette solo bonus e non la riforma della spesa pubblica di cui i giovani sono i primi a necessitare? 

Vi fidate di chi dice di seguire l’Agenda Draghi, ma poi non propone quello che l’ex primo ministro avrebbe voluto fare se avesse avuto piena libertà decisionale, ma a malapena ciò che avrebbe fatto nonostante i mille paletti di un governo di larghe intese? 

La mia risposta a tutto ciò è No. E quindi ecco perché non lo voterò

Francesco Fusco di Riforma e Progresso

IL CONCETTO DI GIUSTO

È GIUSTO O NON LO E’?

Nel Critone di Platone, Socrate afferma “E’ meglio patire ingiustizia che commetterla”.
È con questa affermazione che Socrate il giorno seguente fu costretto a bere cicuta dopo esser stato
condannato a morte con l’accusa di corrompere i giovani e voler introdurre nella città nuovi Dei;
rimanendo però fedele alla sua etica eudemonistica, ovvero l’uomo può ottenere la felicità solo
agendo in rapporto al mondo in modo buono e giusto.
Ma il famoso filosofo aveva ragione? Molti sarebbero in disaccordo e sono coloro che pensano prima
al benessere del singolo individuo, al proprio tornaconto personale e preferirebbero commettere
un’ingiustizia a danno dal altri se quest’azione risulterebbe vantaggioso per sé stessi.
Dimenticandosi dell’esistenza di una società che poggia il suo equilibrio proprio sulla coesistenza
tra i singoli individui. Al contrario chi decide di condividere questa visione della convivenza, si può
mettere su uno scalino superiore verso la strada di una reale integrazione.
E per quale motivo le persone commettono ingiustizia? Forse coloro che la commettono non lo
fanno in modo razionale e consapevole, ma lo fanno pensando che sia il bene per sé stessi.

Questo perché? Perché l’uomo non sa quale sia il bene e quale sia invece il male proprio per la difficoltà di
riconoscerlo, azioni che possono risultare sbagliate possono essere giuste se messe in un contesto
differente; dunque, nel cercare di capirlo, spesso smarrisce la retta via commettendo dei peccati.
Non possiamo sapere con certezza quale sia il bene comune, in quanto difficile da individuare ma di
certo sappiamo bene qual è il nostro bene personale e, nel tentare di realizzarlo, accettiamo il fatto
di poter peccare a danno d’altri.
Cosa significa “Giusto”? Nel mondo greco-romano il concetto di giustizia ha il fondamento non
nell’uomo, ma nella realtà ideale, come principio materiale o come principio ideale. Da un concetto
di necessità che mantiene ogni cosa nel proprio ordine la giustizia passa a significare un principio
naturale di coordinazione e di armonia nei rapporti umani. Per il vocabolario odierno invece la
giustizia è una virtù eminentemente sociale che consiste nella volontà di riconoscere e rispettare i
diritti altrui attribuendo a ciascuno ciò che gli è dovuto secondo la ragione e la legge. In entrambi
casi il fulcro della giustizia è la corretta coesione di tutti i popoli, il corretto riconoscimento della
diversità dei diritti e delle tradizioni altrui; inoltre, il dovere di rispettare le leggi, imparando,
attraverso uno studio critico della verità, a riconoscere quelle ingiuste da quelle giuste.
“Ciò che tu eviteresti di sopportare per te, cerca di non imporlo agli altri”

Lorenzo – Follower di Riforma e Progresso

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