“Guarda quanti ladri che ci governano! I politici dovrebbero lavorare gratis o quasi!”

È una questione su cui ci si scaglia spesso, soprattutto alla luce dei vari privilegi di cui godono i nostri rappresentanti. Tuttavia la questione è molto più complessa di quanto non ci sia sembrato quelle numerose volte che ne abbiamo discusso con i nostri amici, nel pub di fiducia, dopo aver trangugiato mezzo litro di birra.

Vogliamo parlare della situazione ideale? Ovviamente la situazione ideale, complice la narrativa che ci ha influenzato fin da bambini, prevedrebbe un guru sulla montagna o un profeta nel deserto o un mago in un angusta ala del castello, che vivendo in modo spartano e isolato non possono esser corrotti dai ricchi né contaminati dai vizi del mondo. Essi dispensano saggi consigli al popolo e ai re (che in questo caso rappresentano solo il potere esecutivo, giacché attuano ciò che consiglia il grande saggio) su come bisognerebbe vivere la vita e guidare il regno. Servizio che non svolgono in cambio di una lauta paga o per un tornaconto personale (caratteristica tipica dei cattivi) ma mossi da un puro amore verso l’umanità.

 

Questa rappresentazione idilliaca, nella pratica è tanto bella quanto utopica se non addirittura insensata. Utopica perché persone così generose e completamente insensibili a qualunque lusso materiale ce ne sono davvero poche, insensata perché: se davvero tali personaggi amano così tanto l’umanità, come mai vivono separati da essa? Se vivono separati da essa, come possono conoscerla così bene da consigliare esattamente ciò di cui si ha bisogno?

Eppure non sono pochi i “sostenitori dello stipendio zero”, cittadini che andrebbero subito a votare “sì” ad un referendum per la riduzione totale degli stipendi dei nostri politici, lasciando che vivano di pura passione.

Perché la politica deve essere una vocazione, se diventa un modo di fare carriera, di racimolare della grana, allora gli opportunisti e gli egoisti inizieranno a candidarsi come sindaco, assessore, diplomatico o senatore. Non è un caso che alcuni politici siano riusciti a incontrare il favore del corpo elettorale e salire al colle, facendosi portatori di questo stesso ideale, di “rottamazione dell’inutile” o “basta con la casta”. Ci sono pochi dubbi sul fatto che il referendum di settembre 2020, sul dimezzamento del numero dei parlamentari, abbia vinto proprio per il desiderio dei cittadini italiani di ridurre le spese della politica piuttosto che qualche preciso vantaggio governativo.

I “sostenitori dello stipendio zero” sono persone che, come la maggior parte degli italiani, pur lavorando duro senza concedersi alcun lusso, faticano ad arrivare a fine mese. Persone che vedono come un’ingiustizia gli stipendi stellari e i troppi privilegi dei politici (e talvolta pure dei loro parenti). E come si potrebbe dar loro torto? È oggettivo che il compito di una persona è di lavorare per guadagnarsi da vivere, come il compito di un politico è di far prosperare la propria nazione e sostenere chi la popola. Se questo non avviene, se chi lavora non riesce a mantenersi, i politici sono gli unici colpevoli. Per cui ben venga votare a favore di qualunque proposta per ridurre il più possibile i loro immeritati redditi.

Tuttavia se si approfondisce la questione con i più agguerriti tra i “sostenitori dello stipendio zero”, vi accorgerete presto che nonostante il loro voto, non la vedono davvero così. Il loro voto non si basa su un progetto alternativo di fare politica, ma si tratta dell’ennesimo voto di “vendetta”. Per fare un esempio: lo stesso che ha sostenuto la salita della novità Pentastellata in Italia o del miliardario Donald Trump negli U.S.A. <<Pur di ostacolare i soliti vecchi politici voto lui, anche se non mi riconosco particolarmente nel suo programma>>. La prematura caduta di Trump e dei 5S già dopo un solo mandato, il tempo sufficiente per diventare “come loro” ma insufficiente per realizzare il più pallido dei cambiamenti, è la prova che non si trattava di vera simpatia ma di antipatia verso “gli altri”.

Infatti i “Zero reddito ai politici”, come chiunque altro, non vogliono veramente che i loro politici patiscano la fame, ma sono a favore di una paga onesta, e come potrebbe essere altrimenti? La teoria del saggio che guida la nazione vivendo di carità funziona solo nelle fiabe. Ma nella pratica? In una nazione, cosa succederebbe se un politico lavorasse gratis?

Immaginiamo allora Gianni, Andrea e Paolo, uomini onesti che pur non venendo pagati decidono di svolgere incarichi importanti e impegnativi come quelli del politico.

Partiamo subito con la premessa che le spese di lavoro (viaggi, affitto per soggiorni all’estero, bodyguard, ecc.) siano pagati dallo stato, altrimenti i risparmi di Gianni, Andrea e Paolo al secondo viaggio intercontinentale sarebbero già a serio rischio.

Gianni, Andrea e Paolo dovrebbero comunque disporre di un grande patrimonio per poter vivere serenamente di rendita per anche un solo mandato di 5 anni. Questa situazione li porrebbe dunque ad un livello superiore rispetto allo stile di vita e ai disagi dell’italiano medio, riportandoci al problema iniziale dei rappresentanti – non rappresentativi.

Allora immaginiamo che i nostri tre eroi vivano di carità, o usando un termine più laico, di mance. A questo punto come distinguere le mance dalle mazzette? Magari dal loro importo, d’accordo, mettiamo un tetto massimo. Ma anche se così regolamentato, staremmo comunque parlando di un sistema che favorisce il clientelismo, dal momento che Gianni, Andrea e Paolo cercheranno di accontentare più spesso quelle persone che gli daranno la mancia massima, e solo quando possibile gli altri. Se invece tali mance venissero date in modo equo da tutti così da raggiungere sempre la paga massima, staremmo parlando di una tassa per pagare un reddito ai nostri politici.

La teoria del reddito zero, o della paga basata sulle mance porterebbe al governo una classe politica non rappresentativa del popolo, o persone particolarmente indifese di fronte alla corruzione.

Non funziona.

“Allora paghiamoli il giusto! Quello che si meritano!” Ma quanto è il giusto?

Quanto quello che si meritano? Nessuno lo sa. Ciò non mi stupisce.

Nel mercato un lavoro vale quanto la ricchezza che produce, quindi basterebbe calcolare quanta ricchezza ha prodotto il lavoro di Gianni, Andrea e Paolo. Il problema è che la ricchezza che producono è suscettibile di moltissimi fattori esterni, più o meno conosciuti, e spesso si tratta di una ricchezza non monetizzabile, ossia, non convertibile direttamente in denaro.

L’impossibilità di monetizzare certi lavori ci porta a dei controsensi, una baby-sitter può ricevere sugli 8l’ora, mentre una madre che segue i suoi bambini non viene pagata affatto; per non parlare del classico confronto tra lo stipendio di un calciatore e quello di un chirurgo.

Questi problemi possono esser risolti scegliendo a tavolino degli importi ideali per un certo

servizio. Ma ciò non ci è molto d’aiuto. Quanto vale per Gianni, Andrea e Paolo aver ridotto la disoccupazione del 2%? 0? 10, 100, 1000? 5000? E se scoppia una crisi in America che danneggia fortemente la nostra economia quanti soldi in meno vale? -0? -10, -100, -1000? -5000? Gianni, Andrea e Paolo decidono di costruire una centrale nucleare, stanno lavorando bene o male?

Il problema pare irrisolvibile. Il mio personale consiglio è di procedere a piccoli passi senza desiderare cambiamenti eclatanti, riflettendo su ogni più piccolo privilegio che si è accumulato col tempo. <<I nostri politici hanno bisogno di entrare gratis al cinema? E di non pagare i mezzi pubblici? Al mese il rimborso per l’affitto a quanto dovrebbe arrivare? Il presidente del Consiglio prende 6.700 euro netti, è equo?>> (Fonte dei dati tg24.sky.it)

Chissà che riflettendoci con calma non si riesca a tagliare gli eccessi, garantendo una paga degna e senza lasciare i nostri politici vulnerabili ai benefici illeciti che potrebbero promettere particolari gruppi d’interesse.

 

Federico – Riforma e Progresso

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