Cooperazione e Sviluppo Sostenibile

COOPERAZIONE E SVILUPPO SOSTENIBILE

Obiettivi

  • COOPERARE PER CRESCERE

  • PROCEDERE con l'Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile

  • Spendere bene i fondi per la cooperazione allo sviluppo

Programma

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COOPERARE PER CRESCERE

COOPERARE PER CRESCERE

In un mondo interconnesso e globalizzato come oggi è importante parlare di cooperazione tra i popoli. Dobbiamo renderci conto che viviamo tutti assieme in un unico pianeta terra; che le decisioni dei Paesi nostri vicini, ma anche meno vicini, influenzeranno direttamente e indirettamente anche la nostra vita sociale, economica e politica.

Allo stesso tempo dobbiamo ricordare che di un pianeta terra perfetto per la vita come il nostro, per ora, ne abbiamo uno solo, e non si tratta solo di una questione ambientale, ma di una vera questione di sopravvivenza del genere umano.

Non ultimo, dobbiamo ricordare che quello che siamo noi oggi come comunità italiana ed europea, lo dobbiamo ad una continua influenza, cooperazione e collaborazione con tutti gli altri popoli della Terra e la nostra sopravvivenza come individui, passa anche dalle scelte e le decisioni di tutti gli altri popoli della Terra.

Se progrediscono come noi, nella nostra stessa direzione, anche Paesi ad oggi meno fortunati di noi, sarà un guadagno sociale ed economico anche per noi per tutti gli anni a venire.

AGENDA 2030 DELLE NAZIONI UNITE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE

AGENDA 2030 DELLE NAZIONI UNITE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE

Come si legge dallo stesso sito ufficiale dell’ONU: L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Essa ingloba 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile – Sustainable Development Goals, SDGs – in un grande programma d’azione per un totale di 169 ‘target’ o traguardi. L’avvio ufficiale degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile ha coinciso con l’inizio del 2016, guidando il mondo sulla strada da percorrere nell’arco dei prossimi 15 anni: i Paesi, infatti, si sono impegnati a raggiungerli entro il 2030.Gli Obiettivi per lo Sviluppo danno seguito ai risultati degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals) che li hanno preceduti, e rappresentano obiettivi comuni su un insieme di questioni importanti per lo sviluppo: la lotta alla povertà, l’eliminazione della fame e il contrasto al cambiamento climatico, per citarne solo alcuni. ‘Obiettivi comuni’ significa che essi riguardano tutti i Paesi e tutti gli individui: nessuno ne è escluso, né deve essere lasciato indietro lungo il cammino necessario per portare il mondo sulla strada della sostenibilità.

Sono obiettivi ambiziosi che richiedono tempo, sforzi e sacrifici per raggiungerli appieno. L’Italia ovviamente si è già messa a modo suo, a cercare di raggiungere già degli obiettivi, e lo sforzo deve continuare prontamente in tutti i modi anche quando saremo noi al Governo. Molti obiettivi si raggiungono direttamente attuando riforme a “casa”, passando per la migliore gestione dei rifiuti ad esempio, o facendo politiche energetiche ed ambientali.

Come siamo messi e cosa altro c’è da fare? A queste domande ha voluto trovare risposta un gruppo di esperti impegnati nelle organizzazioni aderenti all’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, organizzati in gruppi di lavoro tematici. E’ possibile consultare l’intero report sul sito dell’ASviS (Fonte: https://festivalsvilupposostenibile.it/public/asvis/files/Festival_2020/Eventi_Segretariato/Report_ASviS_2020_FINAL8ott.pdf).

Proprio in vista della preparazione del Piano italiano, questo Rapporto illustra gli orientamenti da utilizzare non solo a valere sui fondi europei: la costruzione di una seria Strategia di sviluppo sostenibile per fornire una visione solida e coerente dell’Italia al 2030; il rafforzamento delle strutture della Presidenza del Consiglio per assicurare il coordinamento delle azioni settoriali secondo l’Agenda 2030; il coinvolgimento delle Regioni e degli Enti locali nel disegno e nell’attuazione delle politiche per conseguire gli SDGs; la predisposizione di un’Agenda urbana nazionale per lo sviluppo sostenibile, con un forte ruolo di coordinamento di un riformato Comitato interministeriale per le politiche urbane; l’aggiornamento del Piano Nazionale Integrato EnergiaClima (PNIEC) per allinearlo agli obiettivi europei e l’approvazione del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici; la creazione, presso la Presidenza del Consiglio, di un Alto consiglio per le politiche di genere, per coinvolgere in modo continuativo la società nella programmazione e valutazione degli interventi in questo campo; il coinvolgimento dei Ministeri per inserire le azioni volte al raggiungimento degli SDGs nella programmazione operativa; l’inserimento nella Relazione illustrativa delle proposte di legge di una valutazione ex-ante dell’impatto atteso sui 17 SDGs, per assicurare la coerenza delle politiche pubbliche; la predisposizione di una Legge annuale sullo sviluppo sostenibile, per disporre di un veicolo normativo destinato a modifiche di carattere ordinamentale con un’ottica sistemica ispirata all’Agenda 2030.

Alla luce delle linee guida europee, si invita il Governo anche a:

definire le nuove procedure che il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica e lo Sviluppo Sostenibile (CIPESS) – la cui partenza è prevista per il primo gennaio 2021 – adotterà per valutare i progetti d’investimento, ivi compresi quelli finanziati dalle risorse europee, adottando un “controllo di sostenibilità”;

creare un ente pubblico di ricerca per gli studi sul futuro e la programmazione strategica – per effettuare ricerche sulle prevedibili e loro

loro implicazioni per le politiche pubbliche;

adeguare la normativa che prevede la relazione sugli indicatori di Benessere Equo e Sostenibile (BES) nell’ambito del ciclo di bilancio, per allinearla agli SDGs utilizzati nel Semestre europeo;

affidare all’Ufficio Parlamentare di Bilancio il compito di effettuare valutazioni quantitative sull’impatto sugli SDGs dei principali documenti di programmazione e di bilancio, in linea con l’orientamento del Semestre europeo;

istituire una piattaforma di consultazione permanente della società civile per la valutazione «trasversale» dell’impatto dei provvedimenti legislativi sull’Agenda 2030;

proporre una revisione della struttura delle Commissioni parlamentari, resa indispensabile dalla riduzione del numero dei deputati e dei senatori, per favorire un’analisi più integrata dei provvedimenti legislativi riguardanti le diverse dimensioni dell’Agenda 2030;

rivedere i contenuti del D.lgs. n. 254/2016 sulla rendicontazione non finanziaria, rendendola obbligatoria per tutte le grandi imprese e progressivamente anche per le medie, mantenendo la volontarietà per le piccole.

Il Report dice anche che l’improvvisa emergenza Covid-19 ha rallentato o reso più complesso il proseguimento di questi obiettivi (per ovvie ragioni di priorità e necessità. Guardando ai singoli Goal, il Rapporto del Segretario generale dell’ONU, presentato in occasione dell’HLPF, evidenzia come l’impatto della crisi sulla riduzione delle emissioni di gas serra e l’inquinamento atmosferico (Goal 13), positivo a breve termine per via del blocco alle attività produttive, potrebbe svanire rapidamente a meno che 

non vengano messi in campo di maggiori sforzi verso la transizione energetica. Per quanto riguarda gli aspetti sociali, la crisi ha avuto ricadute negative sui redditi (Goal 1), sugli approvvigionamenti di cibo (Goal 2), sull’accesso ai servizi sanitari (Goal 3) ed educativi (Goal 4), alle quali si aggiunge anche un aumento della violenza di genere (Goal 5). Per quanto riguarda gli aspetti economici (Goal 8), le ricadute sulle aree più povere (Goal 11) e sulle aree di conflitto (Goal 16), che rendono necessario uno sforzo di cooperazione sanitaria internazionale (Goal 17), si registra un andamento negativo generalizzato. In particolare, il Rapporto evidenzia il rischio che la pandemia rappresenta per i Paesi in via di sviluppo, caratterizzati da fragilità preesistenti, tra cui l’accesso all’acqua potabile e a risorse idriche adeguate, la cui disponibilità è fondamentale anche nelle strategie di sanificazione e di igiene utili per ridurre i rischi di contagio da COVID-19.

Complessivamente, l’ONU evidenzia che se negli ultimi cinque anni si fossero investite più risorse nell’attuazione degli SDGs, oggi i Paesi avrebbero a disposizione una base più solida per resistere agli shock sistemici e potrebbero contare su una copertura sanitaria universale, nonché su economie più sostenibili. Per questo, secondo il Rapporto, è urgente aumentare drasticamente il ritmo e la portata degli sforzi da mettere in campo per realizzare gli SDGs.

Come sintetizza un articolo di AFFARI INTERNAZIONALI (fonte:https://www.affarinternazionali.it/2019/02/sviluppo-sostenibile-riforma-globalizzazione/): Un nuovo approccio alla globalizzazione: l’Agenda 2030 dell’Onu

Ciò comporta la necessità di un approccio che combini le ragioni della crescita economica con la lotta alla povertà e alle diseguaglianze, con la parità di genere, la tutela della salute, l’istruzione di qualità etc. e che associ l’utilizzo razionale delle risorse mondiali al rilancio del partenariato globale. Tutto con il presupposto che nessuna ricerca di soluzioni può prescindere dalla dimensione globale dei problemi, in un contesto di giustizia sociale e di tutela dei diritti umani in tutte le loro declinazioni.

Ed è in quest’ambito che si pone il problema del metodo attraverso il quale la comunità internazionale possa governare processi di così rilevante complessità, riflessa nel conflitto, oggi particolarmente acuto, fra il multilateralismo – al quale abbiamo finora affidato la ricerca di soluzioni efficaci a livello globale – e la tendenza a risolvere tutto nel quadro di rapporti di forza che si svolgano prevalentemente sul piano bilaterale, incarnata oggi soprattutto dall’Amministrazione statunitense.

C’è poi il tema della sostenibilità dell’attuale modello di sviluppo di fronte allo spettro di risorse non rinnovabili in esaurimento e di una popolazione in crescita in molte aree del mondo, e a quello dei negativi impatti sull’ambiente e sulla biosfera planetaria. Oggi, nella complessità dei nostri modelli economici e sociali, non c’è dimensione che possa essere considerata slegata ed indipendente dalle altre.

È questo il messaggio dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, che prospetta una risposta affrontando tutti gli aspetti della sostenibilità e della resilienza di un mondo molto complesso. Un mondo scosso dai vantaggi e dalle criticità della globalizzazione e dai suoi effetti, nel cui ambito è necessario aggiornare le regole del commercio internazionale affinché siano coerenti e funzionali rispetto a tutti i 17 obiettivi in essa contenuti e alle loro articolazioni.

Il suo perseguimento, in un indispensabile contesto multilaterale e di ricerca di soluzioni vantaggiose per tutti, costituisce la base ineludibile di politiche e iniziative che si propongano di assicurare all’umanità un futuro di pace e di prosperità inclusivamente distribuita. Un quadro innovativo di politiche pubbliche rispondenti a tali criteri, ha sottolineato il professor Giovannini, dovrebbe essere costruito su cinque parole d’ordine: proteggere, promuovere, preparare, prevenire, trasformare, al fine di poter resistere agli shock che ci attendono e accrescere la resilienza delle nostre società.

E nella definizione e conduzione di tali politiche occorrerà avere come parametri di riferimento non soltanto il prodotto interno lordo, ma anche gli indicatori del benessere equo e sostenibile come adottati dall’Ocse e dall’Istat

E’ possibile già adesso, step by step, mettere in modo le giuste dinamiche per conseguire efficacemente questi risultati. Non siamo da soli, c’è l’Unione Europea che grazie a politiche e grossi fondi e liquidità ci aiuterà in questo percorso. Noi di Riforma e Progresso ci auguriamo che l’attuale Governo italiano intraprenda seriamente questa direzione, ma sicuramente questa direzione va seguita anche dopo l’emergenza Covid, e richiede anni. Noi ci impegneremo a attuare tutte le politiche necessarie, una volta che saremo al Governo, per raggiungere o anche superare gli obiettivi, sia grazie alle nostre attuali proposte di riforma, sia grazie al contributo che riceveremo da esperti, professionisti, scienziati e istituzioni internazionali.

SPENDERE BENE I FONDI PER LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO

SPENDERE BENE I FONDI PER LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO

Attualmente l’Italia è il quarto Paese dei membri del G7 come spesa per la cooperazione allo sviluppo, come dimostrano le analisi fatte in articolo di PAGELLAPOLITICA (fonte: https://pagellapolitica.it/dichiarazioni/8107/litalia-e-davvero-il-quarto-stato-del-g7-a-spendere-di-piu-in-aiuti-per-i-paesi-poveri): se prendiamo in considerazione il rapporto tra soldi spesi in aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) e il reddito nazionale lordo (Rnl), un indicatore che aggiunge al Prodotto interno lordo (Pil) i redditi guadagnati all’estero da chi risiede in Italia e toglie dal Pil quelli pagati nel nostro Paese da cittadini con residenza straniera? In questa classifica, sempre secondo i dati Ocse più aggiornati, l’Italia scende al quattordicesimo posto, con un rapporto pari allo 0,29 per cento. Questo dato però – vicinissimo allo 0,30 per cento citato da Del Re – ci colloca in effetti al quarto posto tra i Paesi del G7 (Italia, Francia, Regno Unito, Germania, Stati Uniti, Giappone e Canada). Meglio del nostro Paese, fanno infatti Regno Unito, Germania e Francia, che hanno un rapporto Aps/Rnl rispettivamente dello 0,7 per cento, dello 0,66 per cento e dello 0,43 per cento. A livello mondiale, al primo posto troviamo Svezia e Lussemburgo, che investono circa l’1 per cento del loro reddito lordo nazionale in aiuto pubblico allo sviluppo.

Quindi in sostanza possiamo dire che, in termini assoluti, potremmo sicuramente fare meglio e spendere qualcosa di più, visto che potremmo permettercelo e apparteniamo al club dei più grandi e ricchi della Terra, ne va anche di una questione di prestigio, di influenza internazionale, ma non solo quello. In parte perché glielo dobbiamo ai Paesi poveri, visto che anche noi Italiani, come tutti gli altri Paesi occidentali, abbiamo spesso “derubato” i Paesi poveri a nostro vantaggio nel passato, in parte perché se spendiamo di più, aiutiamo i Paesi poveri a raggiungere prima un sistema di benessere e ricchezza tale da non farli emigrare nei nostri Paesi.

Dove vanno i soldi spesi dall’Italia?

L’Italia ha dunque scalato posizioni, ma è importante capire il perché, analizzando nello specifico dove vengono spesi gli investimenti fatti dal nostro Paese. In una nostra precedente analisi – incrociando i dati del ministero degli Affari esteri con quelli dell’Economia –, abbiamo infatti evidenziato che non tutti questi soldi cercano di “risolvere i problemi economici e politici” dei Paesi d’origine dei migranti. Come spiega anche un recente rapporto realizzato da Openpolis in collaborazione con Oxfam Italia, «guardare con la prospettiva classica imporrebbe di dire che i Paesi europei – Italia compresa – mettono sempre più soldi in cooperazione pubblica allo sviluppo, avvicinandosi a raggiungere gli obiettivi prefissati a livello internazionale. Tuttavia se bastasse aumentare i fondi, la cooperazione allo sviluppo si esaurirebbe in una partita contabile». In realtà, bisogna guardare alla destinazione di questi fondi. Siamo sicuri che una quantità crescente non sia dirottata su altre azioni? A causare il consistente aumento degli ultimi anni dei fondi per l’aiuto pubblico allo sviluppo sono state infatti le spese per l’accoglienza dei migranti. In sostanza, i soldi non escono dall’Italia e non raggiungono i Paesi beneficiari.

Secondo il rapporto di Openpolis, nel 2015 il 24,3 per cento del totale dell’aiuto pubblico allo sviluppo era investito per l’accoglienza dei richiedenti asilo e, nel 2016, questa stessa percentuale è salita al 35 per cento. Di conseguenza, la quota di aiuti destinata ai cosiddetti Paesi meno sviluppati (Least developed countries) è calata con il tempo, diminuendo di oltre il 70 per cento dal 2006 al 2016 per quanto riguarda i fondi destinati dall’Italia ai Paesi dell’Africa subsahariana (da oltre un miliardo di dollari a circa 300 milioni di dollari).

“Aiutarli a casa loro” è una strategia che funziona? SI MA SOLO SE FATTA BENE

Infine, le parole della viceministra Del Re si inseriscono all’interno delle proposte secondo le quali un uso sempre maggiore e intelligente degli investimenti per la cooperazione e lo sviluppo può aiutare a risolvere il problema dell’immigrazione. In realtà, da anni, gli esperti dibattono sull’efficacia di questa strategia, con opinioni molto divergenti. L’idea alla base dello slogan “aiutiamoli a casa loro” è molto semplice: se i migranti arrivano da Paesi poveri e poco sviluppati – come quelli africani –, favorirne lo sviluppo aiuterebbe a limitarne i flussi di arrivo.

Su questo punto specifico Michael Clemens, economista del Center of Global Development e uno dei massimi studiosi sul tema, ha analizzato per anni quale rapporto esiste tra sviluppo economico e migrazioni. Nelle sue ricerche, Clemens ha mostrato che più aumenta il Pil pro capite di un Paese povero, più aumentano i tassi di migrazione da quel Paese. Questo fenomeno è spiegato dal fatto che a migrare sono soprattutto le classi medie dei Paesi emergenti. Gli investimenti in cooperazione aiutano – idealmente – ad incrementare lo sviluppo di un Paese, aumentando quindi il livello di ricchezza medio della popolazione e di conseguenza il numero dei membri delle classi medie in grado di cercare fortuna in Europa. Solo quando il Pil pro capite di un Paese raggiunge una determinata soglia – stimata da alcuni studi tra gli 8 mila e i 10 mila dollari (tra i 6.800 euro e gli 8.500 euro) – il tasso di emigrazione riprende a diminuire. Secondo Clemens, con le percentuali di crescita attuali, i Paesi più poveri riusciranno a raggiungere questa soglia soltanto nel 2198. Se gli aiuti stranieri dovessero aumentare, fino a raddoppiare, questa data arriverebbe prima, nel 2097.

OBIETTIVI:

Noi vogliamo aumentare di 1 miliardo di euro gli aiuti nel giro di 5 anni, i soldi arriveranno man mano dalla crescita economica, dal risparmio che deriva dalla razionalizzazione del bilancio e dall’uso più oculato delle risorse pubbliche.

Ad essere sinceri, visto come sta messa l’Italia, per noi è prioritario spendere le risorse pubbliche per incentivare creare di posti di lavoro, migliorare l’istruzione, investire in ricerca e cultura, ma anche in energia, infrastrutture e tutte le altre cose che abbiamo descritto nei nostri programmi.

Perché prima di tutto vogliamo e dobbiamo noi Italia stare bene.

Quindi appena saremo al Governo e avremo fatto le dovute valutazioni economiche e avremo avviato le riforme che dobbiamo fare, prioritarie, man mano, anno dopo anno, stanzieremo delle risorse per la collaborazione internazionale.

L’importante è poi spenderle bene, OBIETTIVI NOSTRI:

– Non si aiuta la cooperazione gestendo i migranti in Italia, ma spendendo i soldi direttamente nei Paesi africani e in via di sviluppo

– Vogliamo che ci sia un’agenzia o un comitato che controlli dove vanno i fondi e se effettivamente vengono spesi per quello che servono.

– I fondi andranno sia ad ONG e ONLUS internazionali, sia ad imprese italiane che intendono investire in determinati Paesi (portando infrastrutture, strade, scuole, sistema idrico, energia), a enti che sviluppano e finanziano progetti per l’artigianato, l’agricoltura, allevamento, pesca, estrazione mineraria e industriale, in modo da creare sviluppo economico e lavorativo nelle zone più disagiate dei Paesi poveri.

– Preferiamo far usare i soldi a chi segue queste attività che darli direttamente ai Governi, visto che spesso se li intascano, o finiscono in corruzione o al dittatore di turno. Ovvio in certi casi si deve passare attraverso la politica del luogo, però ci deve essere un controllo trasparente in modo che i soldi dei contribuenti italiani non finiscano in mani di chi non ne ha diritto.

– Non daremo più soldi ai Paesi africani se come scopo hanno quello di “bloccare con la forza” gli immigrati alle loro frontiere, comprandosi armi e aprendo prigioni apposite, quella non è cooperazione allo sviluppo.

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