CREARE UNA DIFESA DI QUALITA' E NON SOLO DI QUANTITA'
Investire di più in equipaggiamento e addestramento
Implementare la Cyber Secutiry
Istituire anche in Italia i Contractors PMSC
DARE UNA SVECCHIATA ALLE NOSTRE FORZE ARMATE
UNA DIFESA DI QUALITÀ
L’Italia ripudia la guerra e l’esercito deve solo difendere e proteggere la Nazione, i suoi cittadini ed essere di supporto agli alleati e agli indifesi, per combattere il male, i soprusi, le violenze e il terrorismo internazionale e per proteggere gli interessi nazionali. Al tempo stesso serve per aiutare la comunità in caso di calamità naturali o altri stati di necessità ed emergenza.
Nel fare questo l’esercito ha bisogno di strumenti, equipaggiamenti adeguati, formazione ed addestramento adeguato, in modo da operare efficacemente e prontamente in ogni momento e in ogni situazione.
Il nostro esercito è una parte del nostro orgoglio italiano, della nostra storia e va quindi mantenuto come tale.
Allo stesso tempo le esigenze del mondo e le minacce cambiano, e serve quindi che le nostre forze armate siano sempre in grado di essere all’altezza di ogni situazione.
Un buon esercito, efficiente, efficace non è fatto solo di numeri, ma anche di qualità. Purtroppo, i vari governi che si son succeduti hanno sempre tagliato la qualità delle forze armate italiane, non hanno mai ascoltato le richieste di miglioramento che arrivavano direttamente dai professionisti militari.
Sono i soldati stessi e i loro ufficiali a chiedere da anni una riforma. Serve quindi implementare la sicurezza, l’efficacia e la qualità delle nostre forze armate.
Da anni stiamo tagliando il budget della difesa, che ci porta ad essere dodicesimi al mondo (secondo il report SIPRI 2020), spendiamo quasi la metà di Francia e Germania per esempio. Siamo a circa 0.9% del PIL (la NATO chiederebbe ai suoi membri di raggiungere il 2%).
Ma oltre a spendere poco, spendiamo male
*Guardando il Bilancio dello stato 2020 e il sito ufficiale del Ministero della Difesa: Il budget del ministero si attesta a circa 21.4 mld (miliardi di euro), ma parte appartengono all’arma dei carabinieri (che fanno per lo più lavoro di sicurezza come la polizia con circa 6.9 mld). Poi ci sono circa 3 mld di spesa in armamenti (che però rientrano nel bilancio del Ministero dell’Economia e non della Difesa). Quindi alla fine i veri soldi spesi per la difesa sono circa 17.5 mld. Nel 2018 la spesa per il Personale era pari a 6.1 mld, quella per l’Esercizio 408,4 milioni, mentre quella per l’Investimento sfiorava i 100 milioni (per la precisione erano 97,3). Negli ultimi anni è aumentata la spesa per il personale perché ci sono state più assunzioni ed è stato fatto rientrare anche il corpo dei forestali (adesso fanno parte della difesa). Quindi in sostanza, negli ultimi anni, si spende di più in personale (l’unica spesa cresciuta un pò) ma si son tagliati i fondi per “Formazione e Addestramento” nonché “Manutenzione e Supporto”, per ammodernamento e per R&S. Tutte voci che servono per avere un esercito di qualità, efficace, efficiente e preparato.
Riassumendo, attualmente in Italia, per la Difesa si spende poco e male (e i militari son d’accordo). La spesa è troppo sbilanciata verso la spesa per personale, mentre è ridicola per tutto il resto, cioè quello che serve ai militari per riuscire a fare il proprio lavoro (addestramento, attrezzature, equipaggiamento, esercitazioni, ammodernamento, ecc.).
Per farvi un esempio, è come pagare 2 carabinieri, ma non addestrarli bene a sparare, né difendersi da attacchi fisici corpo a corpo, poi non dargli la benzina per l’auto e consegnargli solo 1 paio di manette di cartone e 1 pistola vecchia da usare in due, come pretendiamo che gestiscano bene la nostra sicurezza!?
Due terzi di spesa va via in stipendi (176.000 militari + 28.000 civili). Meno di un quarto in armamento e solo il 10% in addestramenti. Anche nel rapporto NATO 2014 si legge che l’Italia è il terzo Paese, sui 27 della NATO, come spesa per personale (dopo Slovenia e Belgio). Oltretutto, (sia Cottarelli che Analisidifesa) dicono che in Italia il numero di militari è gonfiato dalla quota di MARESCIALLI (il grado superiore dei sottufficiali), lo sono quasi un terzo dei membri dell’esercito, anche di ufficiali ce ne sono molti rispetto al numero di militari. Insomma, abbiamo tanti militari, molti ufficiali e sottufficiali, ma poi sono poco e male armati, poco addestrati, e abbiamo carri armati e navi che non si possono usare perché sono senza carburante. Paradossale!
C’è una riforma (legge 244 del 2012) che ha l’obiettivo di ridurre i soldati del 20% portandoli a 150.000 (e civile da 24.000 a 20.000) e spendere 50% per stipendi, 25% per armamenti e 25% per addestramento, ma è ben lungi dall’essere attuata.
Noi di Riforma e Progresso vogliamo fare di più una volta al Governo:
OBIETTIVI
Entro 2 anni di Governo vogliamo aumentare il budget della difesa di 1 miliardo di euro
Fatto ciò, vogliamo ribilanciare la spesa portandola di più verso addestramento, ricerca, equipaggiamento e armamento. I fondi li troveremo più che altro cancellando la gran parte delle missioni internazionali (che costano circa 1.5 mld l’anno), ormai inutili e costose. Per esempio, siamo in Afghanistan da oltre 14 anni, perfino gli americani se ne stanno andando. Meglio spendere le risorse in modo migliore.
DARE UNA SVECCHIATA ALLE NOSTRE FORZE ARMATE
Il nostro Esercito (ovvero la forza armata dove il rapporto tra uomo e sistema d’arma è più sbilanciato a favore dell’uomo) è irrimediabilmente “vecchio”. L’età media dei volontari in servizio permanente è 37 anni, il 25% è sopra i 40 anni. Tra 10 anni, se non si interviene, saranno il 75%.
In una situazione in cui si debba intervenire in situazioni conflittuali ad alta intensità occorrono soldati che siano a un tempo addestrati, preparati, fisicamente idonei e motivati a combattere.
Riaprire gli arruolamenti in deroga alle limitazioni organiche attuali
Arruolare meno persone ma più spesso, in modo da spalmare meglio “l’età” e avere sempre leve più giovani rispetto a quelle precedenti che continuano ad invecchiare.
Mandare in prepensionamento i soldati ed ufficiali più anziani e reimpiegare gli altri di una certa età, in posizioni più consone e meno faticose rispetto al lavoro sul campo più adatto a soldati più giovani.
IMPLEMENTARE LA CYBER SECURITY
Ormai i conflitti internazionali e il terrorismo non si combattono più soltanto sul campo, ma anche nei sistemi informativi.
Sono molti gli esempi di Paesi che si sono intromessi nel sistemi informativi di altri Paesi, mettendo a rischio stabilità, economia e protezione di tali Paesi.
Gli attacchi informatici minano e minacciano la stabilità, la sicurezza e l’economia del nostro Paese e devono quindi venire fermati in tempo.
Serve investire maggiormente nella creazione di task force adeguate per la sicurezza informatica nazionale.
Parte del nostro bilancio verrà usato per questo scopo, rafforzando quello che già esiste ed implementando altri sistemi copiando i migliori esempi dei Paesi considerati più all’avanguardia nel settore.
Vogliamo altresì creare un Cyber Campus (come fatto dalla Francia), dove istruire i futuri “soldati informatici”, in modo da combattere le gravi mancanze italiane nell’ambito formativo ed infrastrutturale
ISTITUIRE ANCHE IN ITALIA I CONTRACTORS PMSC
E’ ora che anche l’Italia abbia le sue PMSC – Private Military & Security Companies – diceva, nel 2017, il generale Leonardo Leso su Analisi Difesa. Mettendo in luce necessità ed opportunità della creazione e regolamentazione di un settore nazionale di compagnie militari e di sicurezza private, il generale dei Carabinieri non più in servizio attivo sembrava aver fatto breccia in quel muro che ha sempre bloccato passi concreti in tale direzione.
Mentre sempre più Paesi fanno ricorso a compagnie militari e di sicurezza private di bandiera, sia per tutelare i propri interessi nazionali che quelli delle proprie aziende, l’Italia preferisce una posizione più attendista. Eppure, in questi anni il nostro Paese avrebbe potuto evitare diversi grattacapi o, perlomeno, soffrirne in maniera più defilata grazie a PMSC nazionali adeguatamente costituite e regolamentate: dal caso dei fucilieri di Marina in India al presidio della diga di Mosul, dai tecnici della Bonatti sequestrati in Libia al recentissimo rilascio di Silvia Romano.
Innanzitutto, le PMSC sono caratterizzate da un estremo grado di professionalità. Sia a livello dirigenziale che sul campo, infatti troviamo quasi tutti ex ufficiali ed operatori delle migliori forze speciali o unità militari d’élite del mondo. Con competenze tra le più disparate ed innovative sia in ambito militare che civile: forze aeree, navali, logistiche, mediche, di soccorso, sminamento, combattimento, antiterrorismo, peacekeeping, cybersecurity ed intelligence.
Fonte:https://www.analisidifesa.it/2020/05/contractors-e-tempo-che-anche-litalia-abbia-le-sue-pmsc/
Con un ruolo di moltiplicatori di forze, queste compagnie sgravano i militari da attività secondarie – logistica, servizi mensa e lavanderia, manutenzione sistemi d’arma, ecc. – per poterli impiegare in combattimento o in attività più rilevanti. L’avvalersi di contractors comporta anche una convenienza economica rispetto al personale militare. Essi, infatti vengono pagati per il loro impiego effettivo, terminato il quale non gravano più sulle spalle dei contribuenti, a differenza delle Forze Armate che rappresentano un costo permanente. Le PMSC inoltre forniscono servizi a prezzi inferiori. La privatizzazione della guerra in Afghanistan, proposta da Erik Prince alla Casa Bianca, prevedeva un costo annuo di 5 miliardi di dollari rispetto ai 50 spesi mediamente da Washington.
Opportunità nazionali
Anche per l’Italia esistono delle buone e peculiari motivazioni per cui valga la pena di dotarsi di PMSC di bandiera. Circa il 60% delle attività dell’imprese italiane è al di fuori dei confini nazionali, con una particolare concentrazione in Paesi ed aree a rischio. In fatto di sicurezza all’estero, l’approccio adottato dagli imprenditori italiani è sempre stato caratterizzato da una totale mancanza di attenzione. Al massimo, si è fatto ricorso alle autorità locali – dalla dubbia lealtà e scarso addestramento – oppure a società straniere, principalmente americane e britanniche, già di per sé un bersaglio preferenziale rispetto ai nostri connazionali.
Nel frattempo, i professionisti italiani della sicurezza sono ricercati ed apprezzati all’estero. La possibilità di fornire protezione esclusivamente a beni mobili e immobili, ma non a persone, l’eccessiva burocrazia, l’assenza di una specifica normativa ed un regime fiscale penalizzante fanno sì che i nostri operatori vadano ad ingrossare le fila delle PMSC straniere, oppure ad aprire le proprie all’estero. Consentendo, invece loro di operare nel nostro ordinamento si eviterebbe o, comunque, limiterebbe l’uscita di risorse economiche dal Paese, aumentando anche il gettito fiscale.
L’istituzione di PMSC italiane consentirebbe anche la creazione di opportunità lavorative per tanti nostri ex militari che, sopraggiunti i limiti di età o terminati i periodi di ferma prefissata, potrebbero mettere ancora a disposizione la propria esperienza nel privato. Posti di lavoro potrebbero crearsi anche per tanti civili i cui profili professionali rientrano comunque tra le variegate necessità di queste compagnie. Si potrebbe favorire anche una maggior proiezione economica italiana all’estero, spingendo un maggior numero di piccoli e medi imprenditori ad avventurarsi in certi mercati, finora considerati di esclusivo appannaggio di grossi competitors esteri o nazionali. Infine, le istituzioni potrebbero svincolarsi o prendere le distanze da quelle situazioni scomode o imbarazzanti che non sono mancate negli ultimi anni. Ricorrendo ai contractors al posto dei Nuclei Militari di Protezione della Marina Militare, si sarebbe instaurato un rapporto di natura privatistica con gli armatori, evitando all’Italia complicazioni di carattere politico e diplomatico come avvenuto invece col caso dei fucilieri di Marina Latorre e Girone.