Enti Locali e Pubblica Amministrazione

Enti Locali e P.A.

ENTI LOCALI E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE (P.A.)

Obiettivi

  • FORMARE, INCENTIVARE E RESPONSABILIZZARE IL PUBBLICO DIPENDENTE

  • BASARSI SUL MERITO E NON SULL'ANZIANITA'

  • PAGAMENTI P.A. ENTRO 30 GIORNI - SEMPRE E COMUNQUE, A TUTTI I LIVELLI

  • pagare i debiti arretrati e non accumularne più

  • scrivere le leggi in modo facile e comprensibile

  • DIGITALIZZARE LA P.A.

  • RIFORMA PER L'ACQUISTO DI BENI E SERVIZI

  • ISTITUIRE BANCHE DATI COMUNI

  • TAGLIO DELLE PARTECIPATE

Programma

INDICE - Clicca e ti porta subito al capitolo

RIPENSARE LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

RIPENSARE LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

In Italia la pubblica amministrazione (P.A.) molto spesso, purtroppo, è fonte di stress, di complicanze, di rammarico e di delusione per il cittadino contribuente. Un apparato gigantesco, complicato, bizantino, farraginoso, pesante, spesso incapace di gestire i servizi pubblici come dovrebbe, spesso “bastone tra le ruote” al cittadino, invece che suo aiutante sostenitore.

All’Italia serve una Pubblica Amministrazione AMICA, SUPPORTER, DI QUALITA’, COMPETENTE, DINAMICA, VELOCE, E COMPRENSIVA DELLA REALTA’ DEL CITTADINO.

Allo stesso tempo, l’amministrazione attiva (come ad esempio i Sindaci dei Comuni Italiani), non hanno abbastanza potere, fondi e possibilità per poter fare al meglio il proprio dovere civico nel sostenere i cittadini sul territorio.

Per troppi anni l’ambiente del “pubblico” è stato lasciato abbandonato a sè stesso, vittima di incompetenze, nepotismi, favoritismi, clientelismi, e semplice “posto fisso” per qualcuno, più che “opportunità e sostegno per i servizi al cittadino”.

Ovvio, ci sono moltissimi, e sono la maggioranza, bravissimi amministratori pubblici, dipendenti pubblici, che fanno il loro dovere anche con quel poco che hanno, e molti di loro migliorerebbero volentieri la qualità del proprio lavoro, del proprio servizio/ufficio/dipartimento, e dei servizi offerti ai cittadini, se se ne lasciasse loro l’opportunità.

Il settore pubblico è una categoria bistrattata dai cittadini ma allo stesso tempo agognata e dal posto sicuro. Purtroppo segue dinamiche spesso distanti e distaccate dal mondo della realtà e soprattutto dal mondo del lavoro privato.

In questo programma non parleremo della burocrazia in sé, in quanto abbiamo dedicato un programma intero soltanto alla riforma epocale della burocrazia italiana (vedi PROGRAMMA RIFACIMENTO BUROCRAZIA).

In sintesi, le varie proposte di riforma del settore della P.A. (pubblica amministrazione e degli Enti Locali) che vi andremo a delineare, verteranno principalmente su:

– Miglioramento della P.A. e rifacimento delle dinamiche lavorative dei dipendenti pubblici. Creazione di una qualità professionale, con avvicinamento alle normative e modus operandi del settore del lavoro privato.

Serve creare un sistema basato sul merito definendo regole chiare che producono trasparenza e responsabilizzazione. Serve incentivare, formare e responsabilizzare i pubblici dipendenti, e dargli la possibilità di decidere e portare avanti e termine i propri obiettivi, e non essere soltanto meri esecutori.

Serve dare la possibilità di gratificare e far carriera ai pubblici dipendenti e allo stesso tempo sanzionare chi non fa il suo dovere.

– Miglioramento di poteri, diritti e doveri degli Enti Pubblici e supporto rafforzato ai Comuni e agli amministratori locali.

– Creazione di un sistema strutturato che porti ad una vera e reale digitalizzazione della pubblica amministrazione, in modo ordinato e centralizzato.

Come sempre, siamo apertissimi ad eventuali vostre aggiunte, spunti, idee per implementare, migliorare o correggere le nostre riforme di questo nostro programma di Riforma e Progresso.

FORMARE ED INCENTIVARE IL PUBBLICO DIPENDENTE

FORMARE ED INCENTIVARE IL PUBBLICO DIPENDENTE

Serve creare un sistema di INIZIALE e CONTINUO apprendimento di competenze nel settore pubblico:

Creeremo un’Agenzia per la Formazione Pubblica (A.F.B.) unica e centralizzata che sarà composta da esperti in vari settori, e avrà il compito di ORGANIZZARE, GESTIRE, CONTROLLARE, AMMINISTRARE i corsi di formazioni di tutti i dipendenti pubblici statali, regionali e comunali, suddivisi per categoria, ente, ministero. Con corsi ad hoc, organizzati in cooperazione con ogni singolo ente. Tale Agenzia VALUTERA’ anche lo stato di apprendimento e le successive performance di ogni singolo dipendente pubblico (inclusi i dirigenti). Tale votazione influirà sulla possibilità del dipendente, di fare o non fare carriera, di crescere o retrocedere, di aumentare o diminuire il proprio stipendio. Tutto sarà basato sul MERITO e le COMPETENZE. Ma allo stesso tempo, l’Agenzia valuterà se il dipendente esegue i propri compiti, se rispetta i tempi, se riceve lamentele o note di demerito da parte dei suoi superiori ecc. Allo stesso tempo, se un dipendente ha idee su come migliorare il proprio sistema, lavoro e servizio, potrà spiegarlo direttamente all’Agenzia in modo da incrementare il suo punteggio e aver sempre più possibilità di aumentare stipendio o far carriera. L’Agenzia poi si farà coordinatrice tra il dipendente propositivo e i suoi dirigenti in modo da cercare di far attuare tali idee di miglioramento. L’Agenzia valuterà anche la propensione e disponibilità dei dirigenti di accettare queste situazioni, e di saperle far fruttare per migliorare il servizio stesso.

Creeremo un’unica centralizzata SCUOLA NAZIONALE PER LA DIRIGENZA PUBBLICA. Qualunque cittadino, sia privato che già dipendente pubblico sarà obbligato a fare questa scuola se vuole diventare DIRIGENTE PUBBLICO di qualsivoglia ente e di qualsivoglia livello. Verrà strutturata su falsa riga di quella francese (École nationale d’administration). Questa nuova istituzione prenderà il posto dell’attuale poco efficiente “Scuola Nazionale e dell’Amministrazione”.

Riformare il Codice dei Contratti Pubblici per garantire più celerità, ragionevolezza, trasparenza, controllo e semplificazione, per potenziarne l’efficacia e contrastare gli abusi, tuttora frequenti per mancanza di direttive specifiche e contrasti tra le norme stesse. Più trasparenza e più semplificazione alleggeriscono le P.A., permettendo loro di allocare più risorse sull’innovazione e sui servizi.

Spesso la P.A. è vincolata troppo a mille regole, leggi, balzelli che la obbligano a NON poter decidere come agire, che la BLOCCANO, RALLENTANO, e le evitano di poter districarsi tra i problemi.

TURN OVER DEI DIRIGENTI PUBBLICI

TURN OVER DEI DIRIGENTI PUBBLICI

Introdurremo anche in Italia la pratica del CAMBIARE I DIRIGENTI PUBBLICI OGNI 4 ANNI

Molti problemi nelle pubbliche amministrazioni sono causati anche dal fatto che, attualmente, quasi sempre, il dirigente pubblico, direttore generale, manager pubblico, rimane nello stesso posto/incarico/ufficio per tutta la vita. Questo fa sì che si radichi nel suo ufficio, si crei il suo sottobosco, i suoi nepotismi, e che continui a gestire ufficio e dipendenti sempre con la sua stessa vecchia mentalità, e al contempo, perde negli anni, via via, sempre di più l’energia, la voglia di fare, la volontà di migliorarsi nel lavoro (tanto, sà che è intoccabile, rimarrà sempre lì, che faccia bene o male il suo lavoro). QUINDI: per creare più qualità serve anche RINNOVAMENTO, CONCORRENZA, NUOVI STIMOLI, ARIA NUOVA (oltre che alla competenza). Perciò faremo sì che ogni 4 anni, TUTTI i manager e dirigenti pubblici di tutti i livelli e di tutti gli enti, cambino ufficio e posizione e continuino a girare per sempre, ogni 4 anni. Faremo altresì modo che, chi persegue MERITO E OBIETTIVI possa fare carriera, chi al contrario non ha fatto bene il suo lavoro, venga demansionato o guadagni meno.

DIPENDENTI PUBBLICI

Come numeri e spesa siamo in linea con gli altri Paesi europei, anzi siamo anche più bassi. Sono diminuiti in quasi tutti i settori ogni anno. Questo ha portato a una carenza in certi settori in primis SANITA’ (mancano medici e infermieri). Il problema anche qui è la mala gestione e mala organizzazione. Si sprecano risorse e vengono gestite male le risorse umane. In alcuni settori ci sono troppe persone, in altre troppo poche. In UK i dipendenti pubblici sono di più in proporzione ma son pagati di meno (i dirigenti in primis).

Dati ragioneria dello stato (conto annuale) ultimo aggiornamento al 2017: 3.243.435 persone dipendenti pubblici.

– Un terzo è il personale delle scuole (sommando anche quello molto più ridotto di università)

– Al secondo posto, col 22% troviamo i dipendenti della sanità

– Terzo posto col 18% dipendenti regioni, province e comuni

– 15% polizia e forze armate

Attuare la riforma dell’art. 18 anche ai pubblici dipendenti in modo da poter licenziare anche gli statali (dai neoassunti post riforma in poi nel futuro). Allo stesso tempo poter licenziare e/o demansionare anche i dirigenti pubblici con semplice buona uscita, come si fa nel settore privato (con i dirigenti d’azienda).

Serve creare un sistema di controllo sul lavoro dei dipendenti, serve premiare i dipendenti che fanno bene il loro lavoro e raggiungono obiettivi legati alla maggiore produttività, allo stare più ore in ufficio, ecc. e sanzionare con decurtazione di stipendio chi si comporta male (arrivando anche al licenziamento).

Introdurre la riassegnazione obbligatoria dei dirigenti pubblici dopo 4 anni nello stesso incarico (come nel privato e nel pubblico all’estero), vantaggi: contribuisce ad arricchirne il capitale umano, facilita lo scambio di preferenze, contribuisce al superamento di rivalità tra settori, evita che si creino delle “rendite di posizione” che bloccano lo sviluppo di nuove idee ed impediscono di rimediare a errori consolidati. Ci sono molti dirigenti a Roma che sono come divinità, sono nello stesso posto da anni e si sono creati un proprio sottobosco al loro comando che pensa ed agisce come vogliono loro.

Introdurre nel pubblico gli incentivi interni come nel provato, cioè, introdurre un legame tra gli aumenti di stipendio e gli aumenti di produttività. Questo legame va introdotto per tutti i dipendenti pubblici non solo per i dirigenti. Questi ultimi infatti possono motivare al meglio i propri dipendenti solo se sono in grado di premiare chi lavora meglio e penalizzare chi non lavora. Così si crea una sorta di controllo interno, e il far girare i dirigenti ogni 4 anni, evita il crearsi di favoritismi.

BASARSI SUL MERITO E NON SULL'ANZIANITA'

BASARSI SUL MERITO E NON SULL’ANZIANITA’

In tutta la P.A. ad oggi si fa carriera principalmente con l’anzianità. Questo non sempre è sinonimo di bravura e di professionalità da parte del dipendente pubblico (specie se dirigente).

Grazie alla formazione obbligatoria e alla scuola per dirigenti pubblici e grazie ai controlli che farà l’Agenzia (A.F.B.), potremo cambiare le regole contrattuali e le norme affinché si possa fare CARRIERA grazie a MERITI, se si hanno “bei voti nella pagella lavorativa, e se si sono perseguiti di anno in anno, i risultati agli obiettivi che l’ente/i dirigenti avevano prefissato per tale dipendente.

La carriera sarà sia SCATTI DI STIPENDIO (aumenti), sia, in determinati casi, AUMENTI DI LIVELLO (passaggio di livello, che porta più potere, più responsabilità, oltre che a stipendi più elevati).

RESPONSABILIZZARE PER AIUTARE IL MERITO

– Serve dare obiettivi ai dirigenti e tali obiettivi devono essere definiti in modo appropriato e coerente con gli obiettivi di spesa pubblica;

 – serve consentire ai dirigenti pubblici una maggiore elasticità di gestione trasformandoli da puri esecutori di regolamenti in gestori del denaro pubblico. I vincoli amministrativi attualmente imposti sono eccessivi ed entrano in conflitto con l’obiettivo di gestire la spesa pubblica massimizzando i risultati. Al momento i dirigenti pubblici non sono manager, ma puri esecutori di regolamenti.

Se non possono decidere con una certa flessibilità dell’uso delle risorse disponibili, come possono essere valutati sulla base dei risultati? per es. consentire a un dirigente scolastico di decidere se utilizzare una parte del proprio bilancio per comprare computer piuttosto che per pagare una gita scolastica. Quindi fargli fare scelte che portano a raggiungere obiettivi e migliorare il servizio, ogni decisione è poi resa pubblica, e i cittadini (o politici) potranno valutare, “votare” e dare premi.

– dare possibilità (entro certi limiti) ai dirigenti pubblici di aumentare stipendi ai propri sottoposti, con dei premi ai dipendenti che se lo meritano per le proprie performance (all’interno di determinati parametri, in modo che non ci sia troppa soggettività generalizzata dove poi per clientelismi ci possano essere persone che se ne approfittano). Ogni aumento deve, oltre che rientrare in certi parametri qualitativi, essere poi pubblicizzato all’agenzia, e reso pubblico sia tra i colleghi, sia in un’apposita sezione.

PAGAMENTI P.A. ENTRO 30 GIORNI - SEMPRE E COMUNQUE, A TUTTI I LIVELLI

PAGAMENTI P.A. ENTRO 30 GIORNI – SEMPRE E COMUNQUE, A TUTTI I LIVELLI

Sono anni che sappiamo tutti della lentezza con cui la pubblica amministrazione paga i suoi fornitori. Ritardi che in certe zone d’Italia arrvano anche a oltre 1 anno. Questo tra le altre cose, oltre a non essere giusto, comporta squilibri e a volte anche a fallimenti delle aziende private fornitrici di beni e servizi. Altre volte invece, fanno sì che il privato “gonfi i prezzi apposta” visto che sa che comunque vedrà pagarsi le fatture molto in ritardo (e questi costi extra ricadono poi sui cittadini, visto che si paga con i soldi pubblici).

Per legge faremo sì che ci sia l’obbligo per TUTTE LE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE, a qualunque livello, di qualunque tipologia (nazionale, regionale, provinciale, comunale, enti e aziende pubbliche) di pagare le fatture entro e non oltre 30 giorni dal ricevimento della fattura (dopo aver ricevuto il bene o il servizio completato).

Non si capisce perché, se tra privati, tra aziende, ci si mette d’accordo per esempio, o il contratto dice che il pagamento è per esempio a 30 giorni, i privati rispettano i tempi (o al massimo il fornitore può subito far causa al cliente (e per le tempistiche da velocizzare in Italia riguardo alle controversie civili, guardate il PROGRAMMA GIUSTIZIA), mentre con il pubblico è sempre un’incertezza, un eterno “speriamo che prima o poi paghino” (dopo magari aver dovuto dissanguarsi per tenere il prezzo più basso possibile per poter vincere l’appalto, e per la riforma di tale sistema ne parleremo nei prossimi capitoli, perché non sempre la procedura “guerra al ribasso” è indice di qualità dei lavori pubblici).

Ovviamente ci sarà da capire, una volta al Governo, come sono abituati a lavorare attualmente le pubbliche amministrazioni, come gestiscono bilanci, cassa, pagamenti, ecc. ci faremo supportare da esperti privati in tali settori. Sicuramente alcuni enti sono talmente, burocraticamente, grossi e pesanti, che anche se ci sono i soldi, per chissà quale motivo, i pagamenti non vengono fatti per tempo. Non crediamo che sia sempre e solo colpa di “dipendenti lenti, svogliati e pigri”, sicuramente c’è anche qualcos’altro sotto. Quindi studieremo una soluzione drastica e comune a questo problema.

Dopodiché, una volta dato ad ogni amministrazione la possibilità di mettersi in riga e poter elargire pagamenti entro 30 giorni, facendole strutturare di conseguenza, faremo anche una legge che SANZIONI i pubblici dipendenti e i manager/dirigenti pubblici di tale ente, qualora i pagamenti sforino il limite massimo dei 30 giorni. Sanzioni pecuniarie (detrazioni di stipendio, “multe”, note di demerito che pregiudichino il poter far carriera nella propria “pagella meritocratica” che creeremo per ogni dipendente). Le amministrazioni dovrebbero poi mandare copia delle fatture alla piattaforma centrale degli acquisti (CONSIP) entro trenta giorni, ma potrebbero mandarle in parallelo anche le imprese, così dal centro si avrebbe la possibilità di una doppia verifica.

In questo modo, tra l’altro, le pubbliche amministrazioni potranno strappare prezzi più competitivi con i privati, visto che gli daranno la certezza sicura che entro 30 giorni gli pagheranno l’intera fattura (e che non avranno più quindi la scusa di gonfiare i prezzi).

Tra le altre cose, questo nuovo modo di procedere, ci porterà ai primi posti in Europa, tra i Paesi migliori, cioè quelli che pagano più velocemente i privati. Attualmente tra i Paesi migliori ci sono, tanto per cambiare, la Germania, che ci impiega in media poco più di un mese (dati Eurostat). Noi di Riforma e Progresso vogliamo aggiungere anche questa sfida ambiziosa ma fattibilissima, e anche per questo argomento, portare un cambiamento radicale rispetto al passato. E passare dall’attuale media (grazie agli enti più performanti) di 100 giorni, ai futuri 30, darà sicuramente un segnale di un inizio di un cambiamento di fiducia per le P.A. verso i loro cittadini.

PAGARE I DEBITI ARRETRATI E NON ACCUMULARNE PIU' - CHIUDERE UNA VOLTA PER TUTTE LA QUESTIONE DEI DEBITI DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

PAGARE I DEBITI ARRETRATI E NON ACCUMULARNE PIU’

CHIUDERE UNA VOLTA PER TUTTE LA QUESTIONE DEI DEBITI DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

Ormai noi Italiani ci siamo stufati sentir parlare in TV per anni e anni, dell’annosa e mai risolta questione del debito che le pubbliche amministrazioni hanno nei confronti dei loro fornitori privati.

Come detto, i problemi MAI affrontati dai soliti vecchi politici sono due:

1. Il non aver mai fatto nulla per cambiare l’andazzo delle P.A. per far in modo di accorciare i tempi dei pagamenti (problemi che come spiegato, noi di Riforma e Progresso vogliamo risolvere una volta per tutte, in modo che si smetta di fare debito, continuando a creare sempre nuovi “debiti ritardando i pagamenti, in un continuo problema “senza fine”).

2. Il non aver mai pagato tutto l’enorme vecchio ammontare di debito che le P.A. hanno tutt’ora. Ad essere sinceri, ci son stati un paio di Governi che hanno cercato di pagare (in minima parte) parte dei debiti delle pubbliche amministrazioni, spesso però con scarsi risultati, in quanto pagavano piccole somme che dopo un anno si “riformavano come nuovo debito”. Le P.A. continuavano comunque a creare sempre nuovi ritardi su ritardi, in un gioco senza fine, un circolo vizioso eterno. E’ come svuotare qualche secchiata d’acqua dal garage allagato senza però prima aver “chiuso/riparato” il tubo che perde acqua.

Il debito totale ammonta a circa (al 2020) 40 miliardi. Pagarlo subito su un colpo solo darebbe una bella boccata di ossigeno e di liquidità a miglia di aziende che, specie durante il corona virus, hanno vissuto e stanno vivendo un periodo non proprio dorato (causa anche della crisi internazionale post corona virus).

C’è stata una volta (e qui dimostra l’insulsaggine politica umana dei politici italiani) che tutti i partiti politici, l’intero parlamento, si trovavano d’accordo, e perfino l’Unione Europa si trovava d’accordo, con la proposta fatta dall’allora Presidente di Cassa Depositi e Prestiti, Franco Bassanini, che aveva trovato un modo per fare un operazione che consentisse allo Stato di pagare in un colpo solo tutti i debiti e le forniture delle P.A., senza intaccare i VINCOLI EUROPEI e senza gravare sul DEFICIT del bilancio pubblico.

Lo stesso Bassanini diceva: «Bisogna stabilire in maniera inequivocabile, prevedendo anche sanzioni severe per i funzionari che non si adegueranno, che di fronte alla presentazione di una fattura l’amministrazione ha solo tre possibilità: pagarla; certificarla se la prestazione è stata effettuata ma non ha i soldi per saldarla subito; contestarla se la prestazione non è stata effettuata o non è in linea con il contratto. Metterla nel cassetto non deve essere più una opzione».

Bassanini, parlando della sua proposta, sviluppata assieme all’economista Marcello Messori, diceva, durante un’intervista su Repubblica a Marzo del 2014: “Dove si trovano i soldi per pagare questo debito? Nelle Banche! La proposta presentata da Messori e da me a nome di Astrid ( una Fondazione che si occupa di istituzioni e politiche pubbliche, ndr) prevede tre cose: che i debiti commerciali vengano tutti certificati dalla amministrazioni debitrici; che vengano garantiti dallo Stato; che siano cedibili dai creditori alle banche, conservando la garanzia dello Stato solo se lo sconto applicato è inferiore al 2 per cento». Ma le banche che interesse hanno a rilevare crediti che non si sa quando saranno saldati e con uno sconto così basso? «Molto interesse, a sentire i banchieri. Innanzitutto perché quel credito con la garanzia che lo accompagna non consuma patrimonio di vigilanza, e poi perché possono darlo come collaterale alla Bce per ottenere liquidità. Ma c’è di più: tutte o quasi le imprese creditrici della PA si sono indebitate con le banche per pagare dipendenti e fornitori e non pochi di quei debiti si trovano tra quelli in sofferenza. In pratica le banche potranno sostituire questi crediti comunque rischiosi o addirittura incagliati con crediti garantiti, migliorando a un tempo la qualità del loro portafoglio e la loro possibilità di immettere denaro nell’economia». E guadagnarci anche. Alle banche quindi va bene, ma qual è il vantaggio per l’economia? «E’ notevole. Le imprese vengono finalmente pagate e possono a loro volta ridurre i loro debiti non solo con le banche ma anche con i loro fornitori. Possono investire, possono rimettere in moto il ciclo. JP Morgan ha calcolato che il pagamento dei 30 miliardi circa di debiti commerciali della PA spagnola ha influito sul PIL del paese per l’1,2 per cento, in Italia l’aumento del PIL potrebbe essere ancora maggiore. Ma c’è un altro effetto importante: in una economia moderna la distruzione creatrice svolge una funzione importante, presuppone che le imprese mal gestite scompaiano e ne nascano di nuove più efficienti. Ma se le imprese falliscono non perché mal gestite bensì perché la PA non paga i suoi debiti non c’è più distruzione creatrice ma distruzione e basta». E la pubblica amministrazione cosa ci guadagna? «Innanzitutto i suoi fornitori vengono pagati, il che aumenta la fiducia e la credibilità. Poi, poiché le aziende creditrici operano spesso in sospensione di imposta, ovvero non pagano l’Iva su fatture che non hanno incassato, incassandole pagherebbero l’Iva e nelle casse dello Stato arriverebbero 4 o 5 miliardi.

Terzo, si eviterebbe di dover scegliere quali creditori pagare prima e quali dopo, evitando così molti passaggi farraginosi e spesso opachi ». Forse è proprio di quei passaggi che le amministrazioni non si vogliono privare. Ma passiamo oltre: dopo che le imprese hanno ceduto i loro crediti alle banche cosa succede? «Succede che banche e amministrazioni ristrutturano il debito, prevedendo il pagamento in un periodo che può arrivare a cinque anni. Così ogni amministrazione paga il suo debito e non accade che i cittadini di Potenza debbano pagare il debito di Pistoia, oppure che Cuneo o Macerata possano pensare di fare debiti come loro aggrada sapendo che alla fine paga qualcun altro: niente azzardo morale. Naturalmente vogliamo che gli interessi che le PA dovranno pagare alle banche siano bassi: sarà possibile perché quei crediti avranno il rating dello Stato italiano, grazie alla garanzia, e perché prevediamo che siano ‘portabili’ come già lo sono molti mutui. In pratica l’amministrazione debitrice potrà scegliere la banca che le fa le condizioni migliori, mettendo così in concorrenza i vari istituti». L’agenzia di rating Fitch ha messo sotto osservazione la Cdp per il suo ruolo in questa operazione. Quali rischi corre la Cassa? «Fitch probabilmente ha interpretato male l’ipotesi di coinvolgimento della Cdp, il cui patrimonio non corre alcun rischio. La Cassa infatti entra nell’operazione solo in un secondo momento, per ammontare limitati e, soprattutto, con una doppia garanzia». In quale momento? «Se alcune PA si riveleranno incapaci di ripianare il debito in cinque anni, sulla base di un accordo da stipulare tra Cdp e Abi, le banche potranno cedere alla Cassa questi crediti entro un limite annuo da determinare”. Questa proposta, per chissà quale cavillo o volontà di qualcuno, non arrivò mai in Parlamento e non se ne fece più nulla.

Una volta al Governo, noi di “Riforma e Progresso”, dopo un attenta analisi della situazione dello Stato delle cose in quel momento, facendo eventuali opportune modifiche (suggerite dai nostri comitati scientifici ed economici), attueremo subito questa proposta Bassanini, in modo da ripagare i debiti una volta per tutte.

SCRIVERE LE LEGGI IN MODO FACILE E COMPRENSIBILE

SCRIVERE LE LEGGI IN MODO FACILE E COMPRENSIBILE

Secondo noi di RIFORMA E PROGRESSO, la mancanza di COMPRENSIONE da parte dei cittadini e la mancanza di COMUNICAZIONE da parte di chi governa in Italia, sono 2 tra i principali problemi socio-politici dell’Italia. Questi elementi portano a una miriade di problemi che potrebbero essere risolti e sparire se l’un l’altro iniziassero a COMUNICARE e CAPIRSI meglio.

 

Una delle tante soluzioni è quella di obbligare lo Stato, gli enti pubblici di qualunque livello, di iniziare a scrivere leggi, regole, norme, regolamenti ecc., in un modo del tutto diverso rispetto ad oggi. In modo semplice, pratico, chiaro, sintetico, essenziale, usando parole di uso comune, e spiegando le cose riportando anche esempi pratici.

Al tempo stesso, obbligare ogni ente, ministero, Parlamento ecc. (cioè chiunque ha scritto/emanato tale norma) e riassumerla poi anche in formato VIDEO/AUDIO/PRESENTAZIONE GRAFICA e pubblicizzarla nel proprio sito istituzionale.

Per le norme/riforme più importanti, e che portano un cambiamento strutturale nella vita dei cittadini, sarà d’obbligo spiegare tale norma, anche attraverso appositi video che verranno mandati in onda di continuo per un determinato periodo, in loop, in vari canali televisivi.

NON BASTA ORDINARE DI SCRIVERE FACILE

Purtroppo però, già sappiamo che spesso non si otterranno i risultato voluti, in quanto l’attuale sistema burocratico e amministrativo dello Stato è ormai “marcio” di una mentalità vecchia, complessa, farraginosa e pesante, peggiorata nel corso di decenni, e non è facile fargli cambiare modus operandi dall’oggi a domani, e non è fattibile chiedere di cambiare mentalità e modo di esprimersi a persone che invece l’hanno fatto sempre in modo sbagliato per decenni, incontrastate.

Purtroppo, molto spesso, chi scrive le leggi, le norme e i regolamenti nelle pubbliche amministrazioni e ministeri, sono persone generalmente esperte quasi solamente in DIRITTO AMMINISTRATIVO. Esperti di leggi, di procedure, ma che della vita reale e del settore che tali leggi andranno a colpire nel mondo reale, spesso sono totalmente ignoranti e all’oscuro.

Spesso scrivono le leggi senza cognizione di causa, dando come risultato leggi poco pratiche, poco applicabili, troppo interpretative, non chiare, e che a volte dicono tutto e il suo esatto contrario contemporaneamente.

Spesso, i burocrati sono succubi del loro stesso sistema, fatto da miliardi di leggine, cavilli, rimandi normativi, ecc. che tendono a appesantire le cose.

COMMISSIONI PER LA STESURA NORMATIVA

COMMISSIONI PER LA STESURA NORMATIVA

Poi, come se non bastasse, utilizzano termini complessi, fuori luogo, e a volte anche espressioni desuete, non chiare, o controproducenti, e si perdono in migliaia di parole, rimandi, turpiloqui burocratici contorti, scritti in milioni di pagine e pagine.

Sicuramente aiuterà obbligare i burocrati, per legge, a iniziare a parlare semplice e seguire alcuni canoni e strutture descrittive che noi con delle leggi, creeremo come codice guida (grazie all’ausilio di comitati scientifici di esperti in linguaggio, scrittori, illustratori), e allo stesso tempo seguire dei corsi che migliorino il loro approccio espositivo e descrittivo delle leggi. Ma non sarà sufficiente.

Per questo, tra le nostre riforme, ci sarà anche quella di istituire COMMISSIONI PER LA STESURA NORMATIVA. Ne verranno create molte, a seconda delle necessità ed esigenze di ogni ente ed organo legislativo. Anche perché, spesso, non si tratta solo di scrivere “come si mangia”, ma anche di scrivere cose utili, pratiche, realizzabili, comprensibili ed eseguibili dai cittadini e aziende per i quali tali norme sono create.

Serve cioè COMPETENZA sulle cose di cui si sta scrivendo. A seconda dell’argomento trattato, serve essere esperti in varie materie, economia, lavoro, imprese, istruzione, medicina, meccanica, scienza, agricoltura, ecc…

Discipline ovviamente che competono di solito al MONDO REALE e della VITA QUOTIDIANA DI OGNI GIORNO.

Per esempio, chi meglio di un imprenditore (o associazioni di categoria di imprese/industria) conosce meglio il mondo dell’imprenditoria e dell’industria. Chi meglio di un allevatore conosce bene il settore dell’allevamento, come si sviluppa, che problemi ha, che esigenze ha, ecc.

Sono loro alla fine che dovranno poi seguire norme e leggi. Così come i cittadini (loro diritti, doveri, obblighi, problemi di ordinaria quotidianità).

Quante volte, perfino durante il COVID-19 tramite i famosi DPCM, noi cittadini ci siamo sentiti presi in giro da norme, in teoria fatte per aiutarci in quei momenti, ma che in realtà complicavano la vita o risultavano poco fattibili o non praticabili?

Spesso noi cittadini abbiamo come l’impressione che chi “sta in politica e nei ministeri” non riesca a rendersi conto di come vive un italiano tipo, di quali siano i problemi, le esigenze e le cose da sapere riguardanti la normale vita di una persona o azienda che vive e opera in Italia.

SOLUZIONE: Per questo motivo faremo sì che ogni ente, P.A., organo legislativo, ministero, si debbano affidare ad apposite commissioni fatte ad hoc, a seconda del tipo di argomento da trattare (es. sociale, economico, o riguardante un particolare settore tipo il mondo delle partite IVA per esempio), in modo che siano tali commissioni (COMMISSIONI PER LA STESURA NORMATIVA) a scrivere letteralmente il testo di legge/regolamento.

Ovviamente avranno la possibilità di correggere, consigliare, dare spunti ai ministeri e ai politici, in quanto saranno composti da professionisti privati esperti in varie discipline, e perfino da una rappresentanza delle associazioni di categorie alle quali tale norma/legge/regolamento sarà indirizzata.

Tali esperti cureranno il contenuto della norma, le sue procedure, la sua semplicità di renderlo realizzabile e metterlo in pratica, poi ci saranno esperti in scrittura, giornalisti, scrittori, che stileranno fisicamente il testo.

Ovvio, tali commissioni non si fanno sostituti al legislatore, non si inventano loro le leggi, seguiranno quelle che sono le volontà di politici, amministratori, dirigenti pubblici. Le commissioni faranno soltanto da TRADUTTORI del pensiero politico. Cioè, faranno il lavoro che in pratica fanno oggi alcuni burocrati ministeriali per esempio, ovvero scrivere le leggi. Tali burocrati smetteranno di farlo, daranno supporto alle commissioni (dal punto di vista normativo/procedurale), ma poi il testo vero e proprio sarà scritto dalle commissioni.

DIGITALIZZAZIONE DELLA P.A.

DIGITALIZZAZIONE DELLA P.A.

Ormai se ne parla da anni, ma poco è stato fatto, perfino qualche pasticcio. Servono fondi, ma anche, e soprattutto, voglia di cambiare veramente il sistema. Serve prendere una netta presa di posizione e attuare un vero cambiamento drastico, ma passo dopo passo, poco per volta, migliorando quel poco che è stato fatto e aggiungendo implementazioni via via che il sistema cresce.

Le soluzioni sono varie, ma per iniziare, sarebbe opportuno seguire intanto alcuni obiettivi, delineati anche da Milena Gabanelli nel suo programma online col Corriere della Sera, e l’ausilio delle informazioni di Open Coesione come fonte.

Confindustria Digitale stima che l’inefficienza pubblica costi circa 30 miliardi di euro l’anno, pari a 2 punti di Pil.  I benefici che produrrebbe la trasformazione digitale della pubblica amministrazione italiana li ha calcolati il Politecnico di Milano:  25 miliardi di euro l’anno al bilancio dello Stato. Da anni stiamo parlando di banche dati.

“Oggi nei bilanci della Pa il digitale vale meno dell’1%, cioè spendiamo meno della metà di Francia e Germania. Secondo Confindustria Digitale per portarci ai livelli dei nostri partner europei dovremmo investire 10 miliardi di euro in un piano condiviso da tutti i partiti, vincolante e con obiettivi e tempi definiti.”

Intanto si possono fare alcuni interventi:

1) Spegnere gli 11 mila Centri Elaborazione Dati dei Comuni, che mobilitano ingenti risorse e sono pure attaccabili dagli hacker, per sostituirli con soluzioni cloud.

2) Usare tutti i fondi Ue. Per il settennio 2014-2020 l’Europa ci ha messo a disposizione 2,3 miliardi di euro per l’attuazione dell’Agenda Digitale e a ottobre 2019 poco meno di un miliardo era ancora da assegnare per mancanza di progetti da finanziare (Fonte: Open Coesione).

3) Assunzione di personale specializzato. Nel Regno Unito la struttura Digital Government Services ha 800 persone dedicate, da noi sono poco più di un centinaio, ne dovrebbero arrivare altre cento nel 2020 e altrettante nel 2021 e 2022. Ma per ora ci sono gli annunci del Governo.

4) Gare più veloci e trasparenti. Secondo la Corte dei Conti i bandi di gara in questo settore nelle amministrazioni pubbliche possono durare dagli 11 ai 24 mesi. Vuol dire che si installano tecnologie già vecchie. La trasparenza e il controllo nelle assegnazioni è cruciale, poiché le truffe e raggiri sono facili quando ci sono di mezzo beni immateriali come programmi e servizi informatici.

5) Condivisione e integrazione delle banche dati. Troppi enti si tengono stretti i loro dati e non li condividono con nessuno, perché rappresentano «potere», un sistema quindi da spezzare. Questa urgente riforma strutturale creerebbe lavoro e renderebbe il Paese più efficiente.

Secondo tutti gli esperti, i cittadini e anche secondo noi di RIFORMA E PROGRESSO, l’unificare le banche dati nazionali è la chiave del successo per una buona riuscita della digitalizzazione della pubblica amministrazione.

Serve far comunicare le amministrazioni tra loro, serve rendere condivisibili e trovabili, per le P.A., tutti i dati dei cittadini (sanità, welfare, lavoro, pensioni, ecc.), questo eviterebbe inutili sprechi di tempo e risorse, inutili RADDOPPIATURE di dati che varie P.A. hanno già ma che altre P.A. non hanno e richiedono nuovamente allo stesso cittadino (quando basterebbe che le prendessero dalle altre P.A. che già hanno nei loro database tali informazioni).

Questo velocizzerebbe di molto i tempi di erogazione di servizi al cittadino, eviterebbe inutili passaggi burocratici, scartoffie, marche da bollo extra, ecc..

RIFORMA PER L'ACQUISTO DI BENI E SERVIZI

RIFORMA PER L’ACQUISTO DI BENI E SERVIZI

Non tutti lo sanno ma una delle voci di spesa pubblica annuale più consistente è quella che serve alla pubblica amministrazione (ministeri, enti, scuole, ospedali, ecc.) per acquistare materiali, beni, servizi.

E’ una voce importante, serve per far funzionare l’apparato pubblico e per erogare servizi ai cittadini (dalla siringa per gli ospedali, alle sedie degli uffici dei pubblici dipendenti statali).

In passato (e ancora oggi) vari Governi e politici, quando avevano bisogno di trovare soldi, lo facevano sempre attingendo da tagli fatti su questa voce. Il problema è che hanno sempre fatto tagli “a casaccio solo per far cassa all’ultimo minuto” anziché migliorare il sistema in modo che diventasse efficiente e facesse risparmiare stabilmente miliardi ogni anno alla comunità. Altre volte hanno fatto tagli indiscriminati “con l’accetta” (lineari) togliendo perfino fondi necessari ad enti che già ne avevano pochi (classico è l’esempio della polizia/carabinieri che non hanno i soldi per fare benzina alle auto e quindi non possono andare troppo in giro a fare il loro lavoro).

Qualche lieve riforma è stata fatta in passato, ma purtroppo non è stata mai “radicale, strutturata e logica” e quindi continua a far acqua da tutte le parti, ci sono un sacco di sprechi, di prezzi gonfiati, e poco controllo (spesso molti enti e pubbliche amministrazioni fanno un po’ quello che vogliono autonomamente, il ché rende difficile anche controllare come “comprano” tali beni e servizi.

OLTRE AL DANNO LA BEFFA: Ci sono stati Governi che hanno perfino commissionato ad esperti economisti, il compito di mettere a posto i conti pubblici e trovare soluzioni a questo problema degli acquisti pubblici, e tali esperti (uno fra tutti, Carlo Cottarelli) di soluzioni né ha consigliate varie, peccato che poi i Governi non abbiamo quasi mai attuato nessuno dei consigli richiesti).

Da come si evince dal libro “La Lista della Spesa” di Carlo Cottarelli, il nostro sistema italiano sugli acquisti pubblici, tanto per cambiare, risulta FRAMMENTATO e CAOTICO.

La maggior parte delle spese sono fatte a livello territoriale e non vengono decise a ROMA dalla politica nazionale. Tutta questa frammentazione dove migliaia di comuni, regioni e enti locali decidono ognuno per il suo, crea inefficienza e fa aumentare le spese.

L’ANAC l’agenzia preposta alla vigilanza, ha iscritto sui propri registri 34.000 uffici che operano acquisti (stazioni appaltanti) e molti fanno capo allo stesso ente, ma vengono lasciati indipendenti a fare da soli gli acquisti che vogliono (in totale questi “uffici” fanno oltre 1 milione e 200 mila procedure di acquisto all’anno!).

SISTEMA INEFFICIENTE PER 4 RAGIONI:

1. Acquistando in modo frammentato i prezzi son più alti;

2. È difficile per i piccoli uffici avere personale abbastanza esperto/preparato per gestire gli acquisti, e un appalto non è sempre facile da gestire, quindi risulterà più costoso;

3. L’elevata frammentazione aumenta il rischio corruzione;

4. Si fanno molte gare di appalto in genere, e solo per indirne una già ci sono molti costi accessori/nascosti che aumentano quindi i costi generali.

L’Ente nazionale per gli acquisti esiste già e si chiama CONSIP solo che non è l’unico, in quanto sono sorte anche diverse autonome centrali di acquisto, e comunque molte amministrazioni continuano a comprare molte cose al di fuori di CONSIP. (Nel 2014 CONSIP ha gestito 4 MLD di spesa su un potenziale di 36). I ministeri sono obbligati a passare per la CONSIP solo per alcune spese, i comuni invece sono tenuti solo se non trovano nel mercato qualcosa che costi meno (e come controllarli e fidarsi che sia vero che costa meno?)

RIFORMA DELLA CONSIP

RIFORMA DELLA CONSIP

PROPOSTA: MA PERCHE’ NON OBBLIGARLE GLI ENTI PUBBLICI A FARE GLI ACQUISTI A UN UNICO ENTE NAZIONALE CHE POI OGNI MESE PROVVEDE A FARE E CONSEGNARE UN UNICO ACQUISTO PER TUTTI PER POI SPARTIRLO AI RICHIEDENTI?

Un unico Ente che acquista tutto per tutti, che paga SUBITO i fornitori, e che essendo solo uno, compra in grande (comprando per tutti facendo quantità), riesce anche a strappare prezzi di mercato migliori e quindi far RISPARMIARE gli enti stessi.

Questo ente dovrebbe essere fatto da persone con esperienza professionale pregressa in ufficio acquisti di aziende private (al di là del normale concorso). Anche perché molti piccoli uffici pubblici e di enti pubblici di sicuro non hanno esperienza nel comprare, e gestire un appalto senza esperienza può risultare più costoso. Questo riduce di molti il rischio di corruzione e infine, l’ente unico di acquisto nazionale saprà cosa compra ogni ente, in modo da valutare e capire a fine anno cosa hanno comprato e capire se comprano cose non attinenti e magari fare delle investigazioni sul perché hanno comprato troppo di un qualcosa (rendendo pubblici i dati e chiedendo agli uffici il rendere conto del perché). Questo aiuta anche a non sprecare e non comprare per niente. Allo stesso permetterà di standardizzare e comprare le stesse cose uguali per tutti (se si vede che tutti hanno bisogno di oggetti sempre simili).

I dirigenti dell’ente riceveranno dei premi nello stipendio, se riusciranno a rimanere nei budget e se riusciranno a comprare a prezzi più vantaggiosi facendo risparmiare anche di più del previsto.

Ogni ente che chiede di acquistare, dovrà semplicemente scrivere attraverso un portale unico, a questo nuova CONSIP che provvederà a comprare, e fare recapitare all’ente richiedente, i beni/servizi richiesti. La nuova CONSIP pagherà usando i soldi di tale ente richiedente (detraendoli dai fondi che che ogni tot mesi lo Stato gira alle amministrazioni pubbliche).

Quindi va riformato il sistema. Un unico per tutti, con sede a ROMA, dove tutti gli enti pubblici sono obbligati per forza a passare da lui e compreranno soltanto da lui. Gli chiedono cosa vogliono, e lui procura e fa pagare. Anche perché l’Istat ha valutato che le cose comprate via CONSIP costano in media il 22% in meno (comprando da solo e comprando grande).

Ogni ente che ordina, paga la riformata CONSIP che raccoglie gli ordini e la

liquidità istantaneamente (o trattiene dai soldi che lo Stato gira a Comuni e Regione per esempio), in modo da fare l’acquisto pagando immediatamente i fornitori. Gli acquisti possono venir fatti mensilmente e per alcuni beni molto comuni (es. siringhe per ospedali o carta per comuni) la CONSIP può fare anche magazzino o chiedere agli enti acquirenti dei BUDGET PREVISIONALI basandosi su quello che hanno speso e comprato l’anno prima, in modo da far acquisti anticipati (avere tutto pronto, e strappare prezzi migliori).

MA VOGLIAMO FARE ANCHE DI PIU’ NOI DI RIFORMA E PROGRESSO, UNA VOLTA AL GOVERNO DEL PAESE: CENTRALIZZARE I DATI DEI PREZZI

Creare anche una banca dati con prezzi di riferimento per orientare gli acquisti di comuni ed enti (es. un kilowatt ora non deve costare più di un tot, una risma di carta non più di un tot, ecc.), molti Paesi esteri hanno una banca dati del genere, specie per quello che è più complesso. Per esempio in UK c’è un’agenzia che per gli acquisti sanitari ogni anno pubblica ed aggiorna un elenco con oltre 50.000 prezzi di riferimento. Anche in Italia serve fare questo database software pubblico per gli enti. Dal 2014 la Consip l’ha fatto per soli 600 prodotti (medici).

Con un sistema rinnovato così si stima che a regime si possano risparmiare dai 7 ai 10 miliardi di euro all’anno. Super centralizzare e non lasciare troppa libertà di auto iniziativa degli enti, ti evita di dover controllare tutti (cosa impossibile, specie in Italia). Senza offesa per gli enti locali, è una questione di efficienza e risparmio nazionale e sono molti i furbetti e gli inetti, anche se sicuramente qualcuno bravo c’è, ma se ne farà una ragione.

SMETTERE DI STARE IN AFFITTO

SMETTERE DI STARE IN AFFITTO

ABBANDONARE GLI AFFITTI PUBBLICI (OVE POSSIBILE)

Faremo una legge che obbligherà tutti gli enti ed amministrazioni pubbliche (nei limiti del possibile) ad abbandonare luoghi per cui paga l’affitto, in modo da farli spostare in edifici di proprietà pubblica vuoti (e l’Italia ne è piena), dopo aver fatto ristrutturazioni magari usando fondi europei (ce ne sono molti, specie per ristrutturazione per efficientamento energetico e climatico).. Oppure, in altri casi, si obbliga tali enti/amministrazioni ad acquistare o espropriare gli edifici in cui tali enti/amministrazioni hanno sede/uffici.

Non ha senso che uffici pubblici con sede stabile in un luogo per decenni, continui a stare in affitto in luoghi non suoi e a spendere un sacco di soldi pubblici per pagare affitti (spesso gonfiati) a privati.

Anche questo nel lungo periodo creerà un risparmio di fondi pubblici.

ISTITUIRE "LA BANCA DATI DELLE PRESTAZIONI SOCIALI"

ISTITUIRE “LA BANCA DATI DELLE PRESTAZIONI SOCIALI”

Prendiamo un cittadino sotto la soglia di povertà: il Comune magari gli garantisce la casa popolare, la Regione un bonus per l’iscrizione dei figli al nido, l’Inps un’altra forma di indennità. Ma quanto gli sta dando lo Stato nell’insieme nessuno lo sa. Negli anni alle presta zioni pensionistiche finanziate dai contributi si sono affiancate altre prestazioni sociali, che si sono di fatto sommate e sedimentate nel la legislazione, senza che sia mai stata prevista una razionalizzazione o che si istituissero controlli «incrociati» tra i diversi enti erogatori, favorendo così furbi ed evasori a danno dei più bisognosi. Parliamo di una spesa in prestazioni per 110 miliardi e in continua crescita: più 5% negli ultimi tre anni. Eppure l’istituzione di un «casellario dell’assistenza», sul modello di quello già in uso per pensioni e pensionati, fu previsto nel 2005, ma poi non se ne è fatto nulla.

ISTITUIRE "LA BANCA DATI DELLA DOMANDA/OFFERTA DI LAVORO"

ISTITUIRE “LA BANCA DATI DELLA DOMANDA/OFFERTA DI LAVORO”

Verrà gestita dal nuovo centro nazionale dell’impiego (leggete i dettagli nel Programma Lavoro).

I centri per l’impiego non riescono a far incontrare l’offerta di lavoro delle imprese con le ricerche dei lavoratori fra le diverse Regioni, e spesso nemmeno fra una Provincia e quella confinante. Questo succede perché ogni Regione ha la sua banca dati (in Lombardia ce n’è addirittura una per Provincia), e sono tenute a inviare le informazioni ad Anpal (Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro) che a sua volta dovrebbe renderle visibili su tutto il territorio nazionale. In realtà il sistema non funziona.

Con una banca dati nazionale l’incrocio domanda/offerta sarebbe invece immediato. Il problema è che il lavoro è materia concorrente Stato-Regioni e, quindi, ci vuole un accordo che impegni tutte le Regioni a condividere i dati. Un tema su cui si litiga da 25 anni, dai tempi del Sistema informativo lavoro e della Borsa lavoro, e intanto la disoccupazione giovanile supera il 28%.

La nostra proposta è quella di affidare le domande/offerte di lavoro a chi lo fa da anni come lavoro, ovvero le agenzie private per il lavoro. L’ufficio per l’impiego deve solo fare da raccoglitore, formatore, controllore, smistatore ed erogatore di supporto al reddito per i disoccupati (vedi Programma Lavoro).

L’agenzia creerà e gestirà anche (togliendola all’INPS) Il casellario dei lavoratori attivi. La sua funzione principale è rispondere alle seguenti domande: i miei datori di lavoro, presenti e passati, hanno versato tutti i contributi? E a quale pensione avrò diritto a fine carriera?

Nell’Anagrafe, attivata dall’Inps nel 2005, dovrebbero confluire i dati di tutte le categorie di lavoratori: pubblico, privato, autonomi, e iscritti agli ordini professionali. Questi ultimi non mandano i dati e poi mancano i dati di oltre 3 milioni di dipendenti pubblici. Basta quindi avere lavorato in passato per un paio d’anni come insegnante per non riuscire ad avere una ricostruzione completa della propria situazione. Inoltre anche i dati sui contributi versati dai lavoratori privati spesso vengono caricati in ritardo. Se la banca funzionasse, non solo si potrebbero vedere tutti i dati aggiornati in tempo reale, ma anche quanti lavoratori sono a tempo pieno, quanti part time e quanti in infortunio, e quindi definire meglio le politiche di sostegno e welfare.

TAGLIO DELLE PARTECIPATE

TAGLIO DELLE PARTECIPATE

Più che di taglio, preferiamo parlare di “accettata” delle partecipate pubbliche. Sono anni che se ne parla, sono un argomento di “vergogna” della politica italiana, sono un pozzo senza fondo di soldi pubblici, spesso vengono usate per creare lavori non utili ad amici, parenti, trombati della politica, oppure si gonfiano in maniera spropositata enti che di per sé sono utili, solo che li si “droga” e gonfia per far girare soldi pubblici, per dare posti di lavoro in cambio di favori, voti, ecc.

In certe circostanze sono enti buoni e di utilità sociale, solo che purtroppo, negli anni, la politica italiana ne ha abusato troppo e oggi sono spesso un carrozzone pesante mangia soldi.

Nessuno sa benissimo quante siano di preciso, il ministero dell’economia ha fatto una lista ma non tutti gli enti hanno mandato i propri numeri, e ne ha contate circa 8.000 di cui quasi 5500 municipalizzate dei comuni (dove l’85% sono spa, srl, cooperative e società consortili). Alcune partecipate a loro volta controllano altre partecipate (sistema scatole cinesi), il ministero delle pari opportunità ne conta oltre 10.000. In Francia sono in totale circa 1.000 e la Francia è famosa per la sua estesa pubblica amministrazione e ha più popolazione dell’Italia e un territorio più esteso dell’Italia.

Molti comuni hanno sicuramente creato tali enti per via dei tagli limitazioni fatti dallo Stato negli anni, su vincoli di spesa, di personale, ecc. aggirando il problema e facendolo “uscire” dalla gestione pubblica soldi e personale che prima erano a diretto carico del comune.

Il problema è che di “partecipate” ne nascono centinaia di nuove ogni anno.

Senza entrare troppo nel dettaglio e senza descrivere i vari scandali e sprechi venuti fuori ogni anno sulle “partecipate”, la nostra proposta di riforma che attueremo quando saremo al Governo noi di Riforma e Progresso, è la seguente e si divide in molteplici punti e si rifà alle proposte di Carlo Cottarelli (come sempre, siamo sempre aperti ad ogni eventuale ulteriore proposta di miglioramento da parte di voi cittadini):

PRIMA SOLUZIONE:

VIETARE AI COMUNI LA CREAZIONE DI UN QUALUNQUE TIPO DI ENTE, SOCIETA’ almeno finché non si riordina e il sistema attuale e si danno nuove norme di comportamento. Lo Stato deve da un lato però, ridare ai comuni la possibilità di poter gestire direttamente alcuni servizi, annettendoli e integrandoli nel comune usando il bilancio comunale, altri servizi invece, i comuni/regioni, li deve abbandonare se sono servizi che possono tranquillamente essere fatti dai privati.

Nel totale la maggioranza degli attuali enti sono in perdita (dovrebbero in teoria essere chiusi per bancarotta) e perdono fino a 1.2 mld l’anno. Spesso è il trasporto pubblico (specie quello romano ATAC) ad essere più in perdita di tutti. Alcuni enti però NON sono mai in perdita perché ricevono trasferimenti a vario titolo dai comuni (enti partecipanti) spesso attraverso i contratti di servizio. Si tratta di veri e propri sussidi che “drogano l’ente marcio e inefficiente”, e invece di migliorarlo continuano a tenerlo in vita “buttandoci dentro soldi”.

SECONDA SOLUZIONE:

Vietare nel modo più assoluto che comuni ed enti pubblici diano sussidi agli enti, siano essi in perdita o no. VIETATO TRASFERIRE ALLE PARTECIPATE QUALUNQUE FORMA DI DENARO PER QUALSIVOGLIA MOTIVO. Questo aiuterà a far chiudere da soli molti enti che falliranno perché in perdita o che saranno costretti a ridimensionarsi o magari efficientarsi. Per i comuni che dovessero inventarsi raggiri per comunque dare sussidi, mettere sanzioni penali e amministrative sia agli amministratori che ai dipendenti pubblici che gestiscono i pagamenti dei comuni (ragionerie). Nel 2012 il totale dei trasferimenti alle partecipate è stato di 12 mld!

In parte anche la TARI sui rifiuti è un sussidio di inefficienza che pagano però i cittadini, spesso i costi sono in aumento, a parità di servizio, e quindi il discorso è uguale (e spesso non fanno manco bene il proprio lavoro, tipo a Roma o a Napoli per esempio).

I CDA degli enti costano 1 mld all’anno e spesso ci siedono politici trombati, parenti, amici, ecc.

I problemi economici che hanno sono sempre gli stessi:

  • SPESE PERSONALE SOVRABBONDANTI
  • ACQUISTI A PREZZI TROPPO ALTI O PER QUANTITA’ ECCESSIVE
  • TRASFERIMENTI PUBBLICI PER COPRIRE PERDITE DOVUTE ALL’INEFFICIENZA

 

TERZA SOLUZIONE:

Chiudere o privatizzare quelle che svolgono un servizio non utile alla comunità e all’attività pubblica e quelle che sono in perdita da oltre 1 anno. Per quelle grandi come l’ATAC, o privatizzarla o farla gestire a un privato per un periodo (che poi rivende al comune) una volta rimessa a posto (come fanno le finanziarie con molte aziende private.

Sicuramente si dovranno licenziare vari dipendenti ma si faranno prepensionamenti, passaggi dei dipendenti ad altri enti pubblici che hanno carenza di organico, e per gli altri, ci sarà comunque un reddito di aiuto e un reinserimento nel mondo del lavoro come per tutti i cittadini comuni).

CHIUDERE PER LEGGE anche le partecipate vuote che non hanno dipendenti, ce ne sono circa 1300 in Italia che hanno solo un CDA (pagato) ma nessun dipendente. Chiudere quelle con meno di 6 dipendenti (ce ne sono 3000 circa). Chiudere quelle con un fatturato inferiore ai 100.000 € (ce ne sono 1300). Non tutti ma sicuramente molti di questi enti sono stati creati per creare POLTRONE per qualche dirigente, membro del CDA, parenti ecc. Queste persone che perderanno il lavoro verranno trattate come tutti, avranno diritto al reddito di disoccupazione e faranno corsi di aggiornamento per essere reinseriti nel mondo del lavoro o se dipendenti “anziani” mandati in prepensionamento, oppure reintegrati in organi ed enti pubblici che hanno bisogno di personale.

Quasi metà delle partecipate totali, appartiene a comuni sotto i 30.000 abitanti. Molti lo fanno perché non hanno capacità gestionali elevate, ma allora bisogna obbligare i comuni a collaborare l’uno con l’altro associandosi su determinati progetti.

Molte società partecipate hanno una piccolissima partecipazione comunale all’interno del capitale sociale, spesso anche comuni che si mettono assieme nella partecipazione hanno meno del 5% del capitale sociale totale quindi ti fa venire il dubbio sulla loro utilità strategica. Per esempio sono 1400 gli enti dove hanno più comuni che vi partecipano ma che messi assieme non raggiungono il 5% del capitale sociale dell’ente. 1900 che non raggiungono il 10%. 2500 che non raggiungono il 20%.

QUARTA SOLUZIONE:

I comuni che da soli, o assieme ad altri comuni, non raggiungono almeno il 20% del capitale dell’ente, dovranno obbligatoriamente vendere le loro azioni ai privati.

Come dice anche Cottarelli, le partecipate dovrebbero essere create solo per dare beni e servizi che i privati non danno o che non riuscirebbero ad erogare a tutti (es. acqua, raccolta rifiuti, ecc.) ma no cose che invece i privati fanno e farebbero anche meglio, come per esempio produrre latticini, aprire farmacie (una volta erano tutte pubbliche adesso sono quasi tutte private) anche perché, se un’azienda privata va in crisi, o si trasforma e migliora il servizio o la si chiude, mentre una ditta pubblica se va male è molto difficile che venga chiusa (nessuno si prende l’onere per cose magari fatte da altre amministrazioni, e per la paura di perdere voti e col pensiero che “tanto paga sempre lo Stato che non fallisce mai, quindi di soldi ce ne sono sempre, al massimo si alzano le tasse” e si mantengono in piedi anche enti che non funzionano.

Tutto sommato non sono poi così tanti i “lavoratori” che perderebbero il posto chiudendo tali enti. E poi molti enti rimarranno aperti (se sono di medio grande grandezza e non sono in perdita, rimangono aperte tranquillamente), solo che i comuni vendono le quote di partecipazione.

QUINTA SOLUZIONE:

Tornare come nel passato, la legge Giolitti del 1903 prevedeva che i comuni per poter creare un ente pubblico e partecipata, oltre al voto del consiglio comunale serviva anche un voto dei cittadini del comune, una sorta di referendum confermativo comunale, se i cittadini dicevano di NO era NO e il comune non poteva proporre più tale questione per almeno 3 anni. E comunque anche per crearne di nuove, dovranno avere un minimo di personale (e che non sia inferiore al numero dei membri del CDA consiglio di amministrazione) e non creare un bene o servizio che già si può trovare sul mercato e che possono fare i privati. Reintrodurremo questa norma, i cittadini saranno chiamati a decidere se creare o meno nuovi enti locali e partecipate.

Queste 5 riforme contribuiranno a migliorare i servizi erogati dagli enti pubblici, e faranno risparmiare, a regime, oltre 10 miliardi all’anno che noi LASCEREMO TUTTI AI COMUNI, in modo che comuni ed enti locali possano avere finalmente più soldi e risorse per creare, finanziare, supportare welfare e servizi utili ai cittadini nel loro territorio (invece di creare poltronifici mangia soldi).

TRASFERIMENTI AI COMUNI

TRASFERIMENTI AI COMUNI

I sindaci non ne possono più, specie quelli che guidano comuni virtuosi, lo Stato continua a tagliare ogni anno i trasferimenti ai comuni, e i comuni non sanno mai di preciso su quanto possono contare, ad alcuni se continua così toccherà chiudere.

Sono anni che i sindaci urlano all’emergenza in quanto si trovano sempre più obbligati a fare tagli dell’ultimo minuto, a ridurre servizi ai cittadini, a curare meno il decoro urbano (asfalti, pulizie ecc.) e ad alzare al massimo le tasse comunali esigibili dai cittadini (tanto da applicare tasse astruse come la tassa sull’ombra).

Di anno in anno i comuni italiani si son visti via via DIMINUIRE le somme che avrebbero avuto diritto ricevere dallo Stato, e allo stesso tempo, non sapere mai QUANDO e QUANTO di preciso gli sarebbe arrivato.

Per noi di RIFORMA E PROGRESSO la precisione, la chiarezza delle cose fin dal principio, e il mantenimento della parola data e degli accordi presi, sono principi fondamentali.

Con il nostro Governo, faremo sì che si crei una cabina di regia che possa dare certezze ai comuni, TRASFERENDOGLI l’esatto ammontare che gli spetta, SMETTERE DI FARE TAGLI DELL’ULTIMO MINUTO, e soprattutto dire già a inizio anno QUANTI soldi esattamente, in quante tranche, verranno inviati ai comuni, con tanto di tabella di marcia con date di versamento che lo Stato rispetterà categoricamente.

Questo permetterà anche di creare un database che tramite un sito istituzionale, mostri al pubblico esattamente gli importi erogati ad ogni singolo comune.

Verrà inserito poi anche il bilancio di ogni singolo comune, per rendere le amministrazioni il più trasparente possibile.

COMMISSIONE DEL BETA-TEST LEGISLATIVO

COMMISSIONE DEL BETA-TEST LEGISLATIVO

Proveranno le leggi/decreti prima di renderle pubbliche

Passaggio fondamentale: Vogliamo creare anche una commissione apposita, che si chiamerà “COMMISSIONE DEL BETA-TEST LEGISLATIVO”, sarà formata da varie persone (scelte casualmente a sorteggio, sia tramite volontaria iscrizione in appositi elenchi, sia grazie ad incentivi e premi in denaro per chi si iscrive). Sarà un gruppo di italiani (es. 1000 persone/aziende), privati o imprese, sparsi in equa misura da Nord a Sud, una rappresentazione a campione degli italiani (come le persone usate per i sondaggi per intenderci). Le persone saranno divise in categorie a seconda del proprio interesse/lavoro/status/qualifica/ecc. Se per esempio una legge/decreto/provvedimento è fatta appositamente per bar e ristornati, le mille persone saranno soltanto bar e ristoranti, se invece la legge è per qualunque cittadino, potranno essere cittadini qualunque.

A tutte queste persone sarà fatta leggere, provare la legge/decreto/disciplina, e la commissione scientifica della commissione beta-test analizzerà i dati e raccoglierà i feedback (attraverso questionari, sondaggi, test online, interviste telefoniche, ecc.) fatte ai mille partecipanti.

Questo sarà utile per capire se la legge ad esempio è di facile applicazione, è comprensibile, è fattibile, è gestibile, se ci sono incomprensioni o troppe interpretazioni, se il sistema funziona o meno (per es. se la legge ha creato un sito web dove far registrare i cittadini in modo da dare certi benefit di welfare a determinati richiedenti che ne hanno diritto, servirà a capire se il sito web funziona, se è intuitivo, se per le persone è chiara la procedura da seguire, ecc.).

Altro esempio, se la legge è stata fatta per i commercialisti (es. leggi tributarie), per capire se è fattibile, se i tempi e limiti sono consoni e fattibili, per capire incongruenze eventuali o errori/disattenzioni/dimenticanze di categorie/persone/cose, ecc.

In tal modo, ogni italiano (privato/professionista/azienda) avrà modo di far capire alla commissione “pro e contro, cosa non va” della legge. La commissione poi provvederà a far riscrivere la legge seguendo le indicazioni migliorative ricevute. Questo sarà un passaggio obbligato.

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