I GIOVANI SONO IL PRESENTE E IL FUTURO
Far tornare in massa quanti più italiani possibile
Evitare che ci siano altri italiani costretti a lasciare il Paese in futuro
I GIOVANI SONO IL PRESENTE
E IL FUTURO
Per noi di Riforma e Progresso è di fondamentale importanza cambiare l’Italia per migliorare lo stile di vita e il benessere degli italiani, in modo da contribuire a creare più opportunità e più sviluppo per tutti. Tutto questo però non può non passare attraverso un vero cambiamento politico, di welfare, di lavoro, di istruzione, di esigenze, di sfide e di opportunità per le nuove generazioni.
Per noi i giovani sono un pilastro fondamentale della società italiana, sono il futuro, sono le persone che raccolgono quanto fatto finora (nel bene e nel male) dalle vecchie generazioni (padri e madri, nonni, ecc.).
In verità, per chi leggesse tutti i nostri Programmi Politici, dentro ogni singolo programma abbiamo sempre inserito svariate parti che sono utili o specializzate soprattutto per i giovani, e averle messe dentro questo unico contenitore “per i giovani” avrebbe creato un malloppo di pagine enorme, senza contare che poi alcune politiche per i giovani sono utili anche ai non giovani, e abbiamo voluto categorizzare le varie discipline in modo ordinato, descrivendo le politiche economiche dentro il programma economia, quelle del lavoro dentro il programma lavoro, quelle per le imprese, le PMI e Start-up dentro il programma imprese, ecc ecc.
Anche nel programma welfare e famiglie molte politiche sono fatte per i giovani.
Quindi, dentro questo programma “Politiche Giovanili” vogliamo inserire alcune brevi considerazioni da mettere in risalto o che ci è parso utile da tenere fuori dalle varie categorizzazioni.
Come sempre, siamo sinceramente aperti ad ogni ulteriore
consiglio, aggiunta, modifica di politiche giovanili da parte di chiunque, specie dai giovani italiani.
Anche io, Giacomo Scotton, leader e fondatore di questo partito “Riforma e Progresso”, ideatore e promotore di questi programmi di partito, rientro nel mondo dei “giovani” essendo del 1987. Anche io sono dell’idea che le vecchie generazioni e i politici italiani, non abbiano mai preso veramente a cuore il problema che infligge le nuove generazioni italiane.
La cosa che secondo me fa più male è il senso di FRUSTRAZIONE, di RASSEGNAZIONE e di SCONFORTO che provano la maggioranza dei giovani, con il classico pensiero “tanto non cambierà mai niente e il futuro non migliorerà mai”.
Altra cosa grave: in Italia, al momento, la speranza sembra morta! Quello che vedo in molti Paesi stranieri, sia ricchi che poveri è che le persone, specie i giovani, hanno un sentimento di speranza positiva nel futuro, sanno che il domani sarà sicuramente un pò meglio di ieri, e questo porta tutti a sperare, a migliorarsi e alle famiglie ad investire sui propri figli. In Italia invece vige il pessimismo generalizzato più totale!
L’attuale politica e governance italiana sta letteralmente buttando all’aria (per usare un eufemismo) tutti gli sforzi, i progressi e le conquiste fatte in decenni di storia italiana, in decenni di lotte, conquiste sociali, sviluppo economico. I nostri nonni e nostri padri hanno ricostruito l’Italia dal disastro della guerra e da anni di dittatura, si sono rimboccati le maniche per creare un posto e una vita migliore per loro e per i loro figli.
Invece dove siamo arrivati adesso? Una società pessimista, frustrata, disillusa, rassegnata dove l’unica soluzione è lamentarsi e basta o scappare all’estero?
PERCHE’ I GIOVANI EMIGRANO ALL’ESTERO?
Ci rendiamo conto che in 10 anni sono scappati all’estero oltre 250 mila italiani? E il 40% dei quali ha meno di 34 anni!?
Che cosa spinge tutte queste persone ad emigrare all’estero e lasciare l’Italia, uno dei Paesi più belli del mondo?!
Abbiamo trovato illuminante e riassuntivo un’articolo di L’Espresso (di Gaia Van Der Esch e Tommaso Cariati) che riporta un analisi fatta da due studenti italiani ad Harvard, che mette insieme le statistiche su chi fugge dal nostro Paese e smentisce molti luoghi comuni (fonte: https://espresso.repubblica.it/affari/2019/12/19/news/laureati-in-fuga-dall-italia-tutti-i-numeri-di-un-emergenza-nazionale-1.342138).
“Avere un figlio all’estero, con il quale si comunica via Skype, via Whatsapp. È ormai una consuetudine per molte famiglie italiane che prendono atto dell’assenza di opportunità di carriera in Italia e accettano la dipartita, con grande sofferenza, al punto che molti italiani sono più preoccupati per i propri ragazzi che emigrano, anziché dell’arrivo di migranti. Conferma l’osservatorio European Council on Foreign Relations, il primo think tank paneuropeo per la ricerca e promozione di un dibattito informato a favore dello sviluppo dei valori europei, che più della metà degli italiani sarebbe a favore di misure di controllo sull’emigrazione. Allora perché i nostri politici, giornalisti ed esperti si preoccupano di chi arriva anziché invece porre un argine all’esodo di massa dei giovani?”
Ad andarsene sono tantissimi giovani ad alto potenziale, con qualifiche accademiche elevate, per nulla valorizzati in patria, ma apprezzati all’estero. Sono specializzati in tutti i settori, provengono da tutta Italia, poco più della metà trova casa in Europa, gli altri migrano negli Stati Uniti e in Australia.
I dati Istat dicono che nel 2018 sono partiti 117mila italiani di cui 30mila laureati. Ma in base all’analisi da noi effettuata il volume degli espatri potrebbe essere addirittura doppio. Infatti l’Istat, che utilizza i dati Aire, cioè l’anagrafe degli italiani all’estero, sottostima almeno della metà i numeri di chi parte. Prova ne è il fatto che nel 2017, per i 36 paesi Ocse, l’Aire ha registrato 76mila partenze, mentre i paesi di arrivo hanno registrato 146mila italiani. Quindi, seguendo questa logica, i giovani laureati partiti nel 2018 sono almeno 60mila, e quelli partiti negli ultimi 5 anni (tra il 2013-2018) sono 200mila al netto degli arrivi.
TRA LE ALTRE COSE, QUESTO CONTRIBUISCE AD AUMENTARE L’INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE IN ITALIA, E AUMENTA IL PROBLEMA DI CHI LAVORERA’ IN FUTURO PER PAGARE LE PENSIONI DEI SEMPRE PIU’ PENSIONATI?
Il Rapporto Italiani nel Mondo 2019 della Fondazione Migrantes riporta, utilizzando principalmente dati Istat, che il 40 per cento di chi è partito nel 2018 ha fra i 18 e i 34 anni. Ma anche che questo dato sta peggiorando con un aumento di 8,1 punti percentuali delle partenze 18-34, mentre nello stesso periodo tutte le categorie di età over 35 sono diminuite. Questi fattori contribuiscono al generale invecchiamento della popolazione italiana.
Il problema diventa ancora più grave se ci si concentra sui laureati. Dice l’Eurostat, l’agenzia statistica dell’Unione Europea, che in Italia solo il 17 per cento della popolazione ha una laurea, percentuale di gran lungo inferiore alla media Ue, che si aggira attorno al 30 per cento. Significa che mancano all’appello almeno sette milioni di laureati rispetto agli altri paesi europei.
E come se non bastasse, molti di coloro che conseguono il titolo di studio lasciano l’Italia. Infatti il report sui cittadini Europei in movimento dentro l’Unione, racconta che il 30 per cento degli italiani all’estero ha una laurea. Stiamo quindi perdendo una grande fascia di chi può far crescere il nostro paese, di chi sa innovare, di chi può contribuire, con le proprie energie e competenze, a tirare fuori l’Italia dalla spirale di crisi – economica, demografica, educativa e occupazionale – in cui si è avviluppata.
Le competenze italiane vengono invece sfruttate dai paesi in cui i giovani emigrano.
“Siamo partiti in cerca di opportunità e responsabilità”
Gli expat sono partiti per tanti motivi. Oltre allo studio, c’è chi parte per trovare lavoro (62 per cento), per avventura (13 per cento), per amore o motivi personali (6 per cento). I dati parlano chiaro: l’Italia è un Paese dove i giovani non si sentono valorizzati come risorsa, e si organizzano per fare (spesso a malincuore) le valigie alla ricerca di un futuro migliore.
Quello che spinge all’emigrazione non è la ricerca di un lavoro qualunque, perché qualcosa (anche se non quello che vogliamo) si trova a casa, bensì un’occupazione degna.
Con un guadagno, delle prospettive e delle responsabilità in linea con il valore e l’investimento in formazione da parte delle famiglie e dei giovani. Chi se ne va non riesce a vedere futuro in un paese che accetta – secondo Eurostat – che oltre il 20 per cento dei suoi ragazzi fra i 15 e i 24 anni non faccia nulla: né studia né lavora. Un numero molto più alto rispetto agli altri paesi europei.
Altri partono per curiosità e ambizione, in cerca di occasioni di sviluppo personale che l’Italia non offre. Chi termina gli studi, infatti, sente l’esigenza di sfruttare ciò che ha imparato e di apprendere qualcosa in più, di lavorare in un ambiente stimolante, con colleghi all’altezza e risorse che offrano una prospettiva di carriera.
Il Paese delle università più antiche al mondo non ha neppure una propria università nella top 100 delle università mondiali, secondo i ranking di QS.
Le opportunità di avere successo come imprenditore, nel paese delle piccole e medie imprese, sono praticamente nulle. Il famoso fondo di venture capital, Atomico, scrive nel suo report annuale sulle startup europee che ci sono 99 neonate società con un valore di più di un miliardo di dollari – le cosiddette “unicors” -, ma nessuna di queste si trova in Italia. Sono in Estonia, Ucraina, Romania, Repubblica Ceca, ben due in Spagna. Ma zero in Italia. L’Italia investe in ricerca l’1,3 per cento del proprio pil, il prodotto interno lordo, sorpassata da Repubblica Ceca e Slovenia. Il nostro paese ha tagliato la spesa per la ricerca del 21 per cento tra il 2006 e il 2016, secondo il Libro Bianco realizzato dal Gruppo 2003.
Appena arrivati all’estero molti expat hanno trovato una società dove essere giovani è un valore aggiunto. Per capirlo, basta guardare gli investimenti che i paesi fanno in educazione e in pensioni: secondo Eurostat, per ogni euro speso in educazione, l’Italia ne spende 3,5 in pensioni, il secondo numero più alto d’Europa (questa volta il primato ce l’ha la Grecia). E per ogni euro in università, ne spende 44 in pensioni, di gran lunga il numero più alto.
I cugini francesi ne spendono 22. I nonni, senza volerlo o saperlo, stanno facendo la guerra ai nipoti.
Il mondo del lavoro è altrettanto colpevole. L’Ocse stima che in Italia i laureati fra i 25-34 anni guadagno solo il 10 per cento in più dei loro coetanei senza una laurea. Per capirci, in Inghilterra il valore economico di una laurea è del 35 per cento e in Francia quasi il 45 per cento. Questo dato diventa molto preoccupante quando si scopre che, al contrario, i laureati italiani fra i 55-64 anni in Italia, hanno un “bonus” sui guadagni fra i più alti d’Europa, quasi al 65 per cento, mentre in Inghilterra non si va oltre il 45 per cento. Quindi il mercato del lavoro italiano penalizza i giovani e valorizza gli anziani, anche a parità di titolo di studio.
Gli expat hanno anche trovato una qualità di vita più alta all’estero – con grande stupore vista la convinzione degli italiani che l’Italia sia il miglior posto dove vivere al mondo. Eurostat conferma che la qualità di vita nel Bel Paese è tra le più basse in Europa: manchiamo di dinamismo culturale e sociale. Gli aneddoti si sprecano, dalla decadenza dei parchi pubblici a quella dei nostri teatri e centri storici. All’estero si investe e si rispetta la cosa pubblica.
Non solo i giovani emigranti hanno trovato una qualità di vita elevata, ma anche un contratto sociale più giusto. Società eque, con poca corruzione e nepotismo. Dove tutti pagano le tasse, che sono alte come o più che in Italia. Inutile dire che l’Italia è tra i peggiori paesi in termine di corruzione percepita, misurata da Transparency International. All’estero la meritocrazia funziona, e chi espatria ne beneficia.
La soluzione alla crisi: perché noi giovani siamo necessari all’Italia
Nonostante la nostalgia per la terra, la preoccupazione delle famiglie e i dati sconcertanti, la fuga dei cervelli non è certo l’unico problema a cui fa fronte l’Italia. Anzi, ne è una conseguenza. Basta pensare agli ultimi 25 anni. Negli anni ‘90, l’Italia aveva un Pil pro capite più alto dell’Inghilterra e si ritrova nel 2019 superata dalla Spagna. Siamo cresciuti del 7,5 per cento in 25 anni. Addirittura la Grecia è cresciuta più di noi (18 per cento).Questa crisi infatti presenta un’opportunità unica: l’Italia ha un contingente enorme di giovani formati, che parlano lingue, con esperienze lavorative internazionali, che hanno imparato lavorando al fianco di leader mondiali nei vari settori, e che potrebbero risolvere – tornando – tanti problemi del bel paese.
Crisi economica: Un laureato che parte è una perdita pesante per l’Italia. Confindustria stima che una famiglia spende 165mila euro per crescere ed educare un figlio fino ai 25 anni. Mentre lo stato ne spende 100mila in scuola e università. Se prendiamo i dati ISTAT e li raddoppiamo (vista la discrepanza di dati) questo rappresenta una perdita di investimenti attorno ai €25-30 miliardi annui. Investimenti di cui beneficiano i nostri vicini tedeschi, francesi e inglesi, con tasse, innovazione e crescita.
Parlando appunto di tasse si calcola, partendo da dati Ocse ed Eurostat, che le casse del tesoro perdono 49 miliardi die uro l’anno di gettito fiscale, di cui più di 25 miliardi di euro dai laureati all’estero. Denaro che potrebbe coprire il nostro deficit annuale. Questo volume non considera tutto l’indotto dell’attività economica che sarebbe generato se i nostri giovani tornassero dall’estero.
Crisi lavorativa: Secondo Eurostat gli italiani hanno una vita lavorativa di circa 31 anni, in Inghilterra è di quasi 40. La nostra età pensionabile, però, è in linea con gli altri paesi europei, il che ci dice che il problema è all’ingresso: in Italia si comincia a lavorare troppo tardi, in media a più di 30 anni. Solo il 70 per cento degli italiani fra i 25-34 anni in Italia lavora, contro più dell’80 per cento dei paesi del Nord. Gli expat quindi hanno esperienze di lavoro spesso più alte rispetto ai coetanei rimasti in Italia, e un loro ritorno rappresenterebbe una leva importante per innovare e importare nuove idee.
Crisi educativa e produttiva: Le competenze di giovani all’estero permetterebbero, nell’ipotesi di un ritorno in massa, di migliorare il gap di educazione che l’Italia ha nei confronti degli altri paesi europei. Secondo l’Ocse, l’Italia ha il più alto gap educativo tra emigrazione e immigrazione. In altre parole, esportiamo gli italiani più educati e importiamo gli stranieri che hanno studiato meno. Questo è estremamente dannoso per il futuro economico del paese dove invece di innovare in tecnologia, ingegneria, scienza e attività economiche “complicate”, ci si concentra su attività più semplici come ristorazione, turismo ed edilizia. Anche su questo i numeri parlano chiaro. La produttività dell’Italia, nona di 32 paesi Ocse nel 1995, è cresciuta in 25 anni del 6,8 per cento, il numero più basso di tutti e si ritrova oggi diciottesima.
Crisi demografica: Il rimpatrio, a giuste condizioni (stabilità e sostegno socio-economico), contribuirà a risolvere il preoccupante gap demografico, diminuendo il tasso di dipendenza ormai alle stelle. Secondo Eurostat, per ogni persona in età pensionistica, in Italia ce ne sono 2,8 in età lavorativa (16-65). La Francia e la Spagna ne hanno 3,3 e 3,4. È inutile chiedersi per l’ennesima volta “chi pagherà le pensioni nel futuro”. Però è importante ricordare che la ricchezza di tutti è creata da “pochi”, ossia da chi è in età lavorativa. Se continuiamo a spingere all’emigrazione i più produttivi fra gli italiani, non ci saranno speranze per mantenere il tenore di vita a cui siamo abituati.
“Senza di noi giovani non ce la possiamo fare: un appello al nostro paese e ai giovani all’estero. Un paese senza i suoi giovani è un paese senza futuro.
Il sondaggio del centro studi di PWC ci dice che l’85 per cento dei giovani all’estero pensa che il paese in cui vivono offra migliori opportunità lavorative che l’Italia. Nonostante ciò, il 74 per cento considererebbe un ritorno a parità di condizioni. L’opportunità è chiara ed esiste”.
Noi di Riforma di Progresso abbiamo quindi 2 obiettivi:
1). Far tornare in massa quanti più italiani possibile
2). Evitare che ci siano altri italiani costretti a lasciare il Paese in futuro
Questo passa attraverso le varie politiche di welfare, detassazione, sostegno al reddito, sostegno alle attività produttive e start-up; ma anche attraverso ai 20 miliardi di euro che investiremo per la ricerca e l’innovazione.
Ma non solo, passerà attraverso anche per le profonde riforme che attueremo al sistema universitario ma anche dell’istruzione. Altro ancora, come l’enorme riforma che facciamo ad esempio per “fare impresa” in Italia, o sul “sistema rilancio della cultura e del turismo”. Ma anche attraverso le scuole di specializzazione che creeremo che formeranno studenti in grado di fare lavori pratici ed utili alle aziende del territorio, altra cosa, implementeremo l’alternanza scuola lavoro a tutti livelli in ogni scuola. Creeremo riforme per favorire il dialogo tra mondo produttivo e università sotto il segno dell’innovazione e della valorizzazione delle competenze.
Senza contare le nostre riforme sulla burocrazia e la pubblica amministrazione. Per non parlare poi del nuovo regime agevolato e di supporto per le partite IVA e per i “nuovi lavori del 21esimo secolo. E che dire della nostra idea di creare una struttura che permetta di far incontrare le imprese e le persone (magari giovani) che hanno idee imprenditoriali, con i risparmi privati dei cittadini, in modo che gli ultimi possano finanziare, investire o semplicemente prestare denaro ai primi?
Tra le altre cose poi, creeremo un sostegno al reddito, detassazioni e incentivi anche per le persone che decidono di rientrare in Italia e disiscriversi dall’AIRE. Allo stesso tempo creeremo anche borse di studio per coloro che lavoravano all’estero nei comparti della ricerca. Davvero moltissime cose che vi invitiamo a leggere nei vari programmi.
Tutto questo ha anche un terzo obiettivo per i giovani italiani: NON DOVER DIVENTARE NEET (ovvero persone che non studiano, non lavorano, non cercano lavoro). Il nostro obiettivo è di DIMEZZARE il numero di NEET durante i nostri 5 anni di Governo.
Per riassumere, tutto passa sul cambiare modo di fare istruzione, fare impresa e su come lo Stato può agevolare le attività e le aspirazioni delle persone. Il tutto per implementare il lavoro e le opportunità di lavoro in Italia, così non ci sarà più bisogno di emigrare all’estero né di vedersi “costretti” a non fare nulla perdendo quindi le speranze sul proprio futuro (NEET).