Mese: Gennaio 2023

Chi è stato Paolo Borsellino?

E’ bello morire per ciò in cui si crede. Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”

Iniziamo con queste parole per raccontare chi è stato Paolo Borsellino
Nascita e formazione
Paolo Borsellino nasce a Palermo il 19 gennaio 1940 nel quartiere popolare la Kalsa, lo stesso dove ha vissuto Giovanni Falcone. Si conobbero all’età di tredici anni in una partita di calcio all’oratorio.
Frequenta il liceo classico “Giovanni Meli” e l’11 settembre 1958 si iscrive a Giurisprudenza a Palermo.
Il 27 giugno 1962, all’età di ventidue anni, si laurea con 110 e lode.
Gli inizi in magistratura
Nel 1963 Borsellino partecipò al concorso per entrare in magistratura diventando il magistrato più giovane d’Italia. Iniziò il tirocinio come uditore giudiziario e nel settembre 1965 venne assegnato al tribunale di Enna nella sezione civile. Nel 1967 fu nominato pretore a Mazzara del Vallo.
Il 23 dicembre 1968 si sposò con Agnese Piraino Leto, i quali ebbero tre figli: Lucia, Manfredi e Fiammetta.
Nel 1969 divenne pretore a Monreale dove cominciò a lavorare con il capitano dei Carabinieri Emanuele Basile.
Il trasferimento a Palermo
Nel 1975 Borsellino venne trasferito presso l’Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo. Con il capitano Basile nel 1980 continuò l’indagine di Boris Giuliano, ucciso nel 1979, sui rapporti tra i mafiosi di Altofonte e Corso dei Mille.
Il 4 maggio 1980 il capitano Basile venne ucciso e a Borsellino fu assegnata la scorta.
Il pool antimafia
Il 29 luglio 1983 fu ucciso Rocco Chinnici da un’atobomba e l’idea del pool fu messa in pratica dal suo successore, Antonino Caponnetto. Ne facevano parte: Paolo Borsellino, Giovanni Falcone, Giuseppe di Lello e Leonardo Guarnotta.

Lo scopo del pool era condividere fra più persone la conoscenza e le informazioni sul fenomeno mafioso per coordinarsi fra le varie indagini e rendere più efficace l’azione giudiziaria.
Questo portò, con il pentimento di Tommaso Buscetta, a spiccare i primi 366 mandati di cattura e poi altri 127 grazie alle dichiarazioni del pentito Salvatore Contorno.

Il maxiprocesso

Nell’estate del 1985 Falcone e Borsellino furono costretti a trasferirsi con le loro famiglie nella foresteria del carcere dell’Asinara dove scrissero l’ordinanza-sentenza di 8 mila pagine che rinviava a giudizio 476 indagati.
Così, il 10 febbraio 1986, si aprì ufficialmente il maxiprocesso. Successivamente fu proprio Borsellino a rendere noto il fatto che fu fatto pagare il soggiorno ai due magistrati.

Il trasferimento a Marsala

Il 19 dicembre 1986 Borsellino chiese ed ottenne la nomina come Procuratore della Repubblica di Marsala

Questo trasferimento, visto che non fu seguito il criterio di nomina dell’anzianità di servizio, portò Leonardo Sciascia ad innescare la famosa polemica sui “Professionisti dell’antimafia” dove polemizzava sul fatto che l’antimafia fosse usata come uno strumento per fare carriera in magistratura.

Dopo la sentenza di primo grado del maxiprocesso, Antonino Caponnetto lasciò la guida dell’Ufficio Istruzione di Palermo convinto che il suo posto venisse preso da Giovanni Falcone. Ma non fu così. Il CSM gli preferì Antonino Meli, seguendo il criterio di anzianità, il quale non aveva esperienza alcuna in indagini di mafia. Così il pool, mano a mano, venne smantellato.
Borsellino reagì con due interviste rilasciate il 20 luglio 1988 dove dichiarò: si doveva nominare Falcone per garantire la continuità all’Ufficio”, “hanno disfatto il pool antimafia”, “hanno tolto a Falcone le grandi inchieste”, “la squadra mobile non esiste più”, “stiamo tornando indietro, come 10 o 20 anni fa” .

Per queste sue dichiarazioni rischiò un provvedimento disciplinare e vennero predisposti accertamenti da parte del ministero per capire cosa stesse succedendo nel Palazzo di Giustizia di Palermo.

Nel frattempo Falcone, bocciato pure nell’elezione al CSM, accettava di dirigere gli Affari penali del Ministero di Grazia e Giustizia dove ideò, tra le tante cose, la DNA e la Superprocura antimafia contro cui si espresse criticamente anche Borsellino.

Il ritorno a Palermo

Secondo le parole del collaboratore Vincenzo Calcara, nel settembre 1991 Cosa Nostra incaricò lo stesso Calcara per uccidere Borsellino il quale, però, venne arrestato il 5 novembre e decide di pentirsi per salvare Borsellino.

Nel marzo 1992 Borsellino ritorna a Palermo come Procuratore aggiunto insieme al sostituto Antonio Ingroia.

Il 21 maggio 1992 Paolo Borsellino rilascia un’intervista dove parla dei rapporti tra Cosa Nostra e l’imprenditoria milanese, accennando ad indagini in corso sui rapporti tra Vittorio Mangano e Marcello Dell’Utri.

Dopo la morte di Giovanni Falcone Borsellino fece di tutto per scoprire la verità sulla strage di Capaci.

In una presentazione del libro di Pino Arlacchi, nonostante il suo rifiuto, i ministri Vincenzo Scotti e Claudio Martelli annunciarono che avrebbero chiesto al CSM di riaprire il concorso per permettergli di partecipare alla nomina come Procuratore Nazionale Antimafia.

Borsellino non replicò direttamente ma rispose qualche giorno dopo affermando che:la scomparsa di Giovanni Falcone mi ha reso destinatario di un dolore che mi impedisce di rendermi beneficiario di effetti comunque riconducibili a tale luttuoso evento”.

La sera del 25 giugno partecipò ad un incontro pubblico per la presentazione di un fascicolo dedicato al fenomeno mafioso nell’atrio della Biblioteca comunale. In questo incontro lasciò quello che poi venne definito “testamento morale” di Borsellino. In questo incontro non poté rivelare dei particolari sull’indagine sulla Strage di Capaci anche perché rivestiva il ruolo di testimone e doveva essere ascoltato a Caltanissetta, dove si svolgevano le indagini sulla strage.

La morte

Il 19 luglio 1992 il giudice con la famiglia si trovavano a Villagrazia di Carini e nel pomeriggio si recò, con la sua scorta, in via D’Amelio in visita alla madre.

Alle 16:58 una Fiat 126, parcheggiata sotto casa della sorella, esplose non appena Borsellino suonò al citofono.

In quell’istante morirono il giudice Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina e Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio). Sopravvisse solamente l’autista Antonio Vullo.

 

Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo”

Paolo Borsellino

Antonino Schilirò – Riforma e Progresso

Chi è stato Giovanni Falcone?

“L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, l’importante è saper convivere con la propria
paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti è non è più coraggio
ma incoscienza.”
Iniziamo con queste parole a raccontare chi è stato Giovanni Falcone
Nascita e formazione
Nato a Palermo il 18 maggio 1939 e cresciuto alla Kalsa, stesso quartiere di Paolo Borsellino, fin da
bambino si trova a giocare con figli di capimafia che poi dovrà imputare nel maxiprocesso.
Frequenta il liceo Umberto I e, dopo aver conseguito la licenza liceale con il massimo dei voti, effettua
una breve esperienza all’Accademia navale. Ma Giovanni scopre presto che la vita militare non fa per lui e
si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza di Palermo e capisce fin da subito che la sua strada sarà la
magistratura.
Questo periodo si avvicina molto allo sport e pratica nuoto fino al 1980, quando dovrà smettere per la vita
blindata che è costretto a fare.
Nel 1962 incontra Rita e si innamora. Nel 1964 decidono di sposarsi mentre Falcone frequenta il concorso
in magistratura.
I primi passi in magistratura
Nel 1965 ottenne il primo incarico come pretore a Lentini e nel 1967 viene trasferito a Trapani dove
coltiva la sua natura giuridica e politica.
È lì, durante il processo contro le cosche del trapanese, che avviene il suo primo incontro con i clan e con
un capomafia: Mariano Licari.
Dirà di lui Falcone nel 1985: “Mi imbattei in un boss di rango. Era Mariano Licari, un patriarca
trapanese. Lo vidi in dibattimento, in Corte d’Assise. Era sufficiente osservare come si muoveva per
intravedere subito il suo spessore di patriarca”.
È ancora a Trapani che il giovane magistrato si trova a rischiare per la prima volta la vita: mentre è in
carcere come giudice di sorveglianza, a Favignana, un terrorista appartenente ai nuclei armati proletari lo
prende in ostaggio puntandogli un coltello alla gola. In cambio del rilascio chiede e ottiene di poter fare
delle dichiarazioni alla radio.
L’arrivo a Palermo
Nel 1978 Giovanni Falcone chiede il trasferimento a Palermo e viene assegnato alla sezione
fallimentare. Nel 1979 si separa dalla moglie e approda alla giustizia penale.
Falcone arrivò a Palermo sotto pressione di Rocco Chinnici dopo l’uccisione del giudice Terranova.

Le prime indagini su cui lavorò furono quelle su Rosario Spatola, un imprenditore mafioso italo-
americano, e si accorse subito dei legami tra alta finanza e economia con la mafia e capisce di dover

seguire il giro che fanno i soldi per poter realmente capire chi aiuta e favoreggia la criminalità
organizzata.
Questa fu un’inchiesta che si muove tra la mafia palermitana, mafia americana e passando per il mondo
politico-finanziario di Michele Sindona.
Si tratta della più potente associazione mafiosa legata al traffico di droga dalla quale arrivano ingenti
somme di denaro e poi vengono ripuliti nell’economia legale attraverso il banchiere Sindona.
Aprendo questo “libro” Falcone capisce l’estrema pericolosità, dovuta pure dalla quantità di omicidi che
ne seguirono.
Così Falcone inventa un nuovo metodo investigativo che rivoluzionerà la lotta a Cosa Nostra, estendendo
le ricerche al campo patrimoniale ed entrando per la prima volta nelle banche.
Vista la pericolosità dell’inchiesta, indagando sulle cosche Spatola-Inzerillo, nel 1980 viene messo sotto
scorta.
Questa indagine vede per la prima volta molte condanne esemplari tra le fila delle cosche mafiose. Ma la
loro risposta non si fa attendere. Il 29 luglio 1983 un’autobomba in Via Pipitone Federico uccide Rocco
Chinnici e gli uomini della sua scorta.
Girando le immagini di Palermo come “Beirut” i palermitani “affidano” a Falcone il compito di
proteggerli così diventa il simbolo della lotta alla mafia.
Con l’arrivo a Palermo a cambiare non è solo la vita professionale di Falcone ma pure personale. E’ qui
che nel 1979 incontra Francesca Morvillo.
Se ne innamora e si sposano nel 1986 ed uno dei testimoni è Antonino Caponnetto, capo del pool antimafia.
La nascita del pool antimafia
Subito dopo l’attentato di Rocco Chinnici arriva a Palermo a sostituirlo Antonino Caponnetto, un giudice
di Firenze sconosciuto ai palermitani.
Crede fortemente nel lavoro di Giovanni Falcone e così nasce il pool antimafia, un gruppo di lavoro che
indaga e si coordina su tutte le indagini relative a Cosa Nostra.
Il pool antimafia è composto da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe di Lello e Leonardo
Guarnotta. Come stretto collaboratore trovano il vice questore Ninni Cassarà il quale sarà autore della
redazione del rapporto di polizia sulla mega-inchiesta.
Nel 1984 Falcone ottiene le prove che porteranno all’arresto di Vito Ciancimino con l’accusa di
associazione mafiosa e importazione di capitali all’estero.
Poco tempo dopo vengono arrestati pure gli intoccabili esattori di Palermo: i cugini Ignazio e Nino
Salvo.
Il maxiprocesso
Il 28 luglio 1985 venne ucciso il commissario Beppe Montana e il 6 agosto dello stesso anno tocca a
Ninni Cassarà.
Falcone riceve minacce dal carcere e Antonino Caponnetto manda lui e Paolo Borsellino al carcere
dell’Asinara per terminare di scrivere l’ordinanza di sentenza del rinvio a giudizio del maxiprocesso.
Tornati a Palermo ricevono pure il conto del “soggiorno”: 415 mila lire.
L’8 novembre 1985 il pool deposita l’ordinanza di rinvio a giudizio di 475 imputati e il 10 febbraio 1986
inizia il primo maxiprocesso a Cosa Nostra.
Il 16 dicembre 1987 il presidente della Corte d’Assise, Alfonso Giordano, legge la sentenza: ai 339
imputati vengono inflitti 2665 anni di carcere con 19 ergastoli. Da questo giorno la mafia esiste e non è
impunibile.
E’ passata la tesi dell’unicità di Cosa Nostra nata nell’epoca dell’inchiesta Spatola, confermata durante il
maxiprocesso da Tommaso Buscetta. Proprio lui, l’ex boss nato a poche centinaia di metri dalla piazza
della Magione in cui era cresciuto Giovanni Falcone, ha rivelato e fatto conoscere a Giovanni Falcone
cosa era realmente Cosa Nostra.
Nel maggio del 1986 si sposa con Francesca Morvillo.
Gli anni dei veleni e l’isolamento
Finito il maxiprocesso il giudice Antonino Caponnetto va in pensione, essendo sicuro che il suo posto
verrà preso da Giovanni Falcone.
Ma il Consiglio Superiore della Magistratura nomina Antonino Meli il quale smantella il pool
antimafia.
Frantumando i processi dividendoli in vari uffici si perde il filo conduttore che esistono tra le varie
vicende e inizia così un periodo molto difficile per Giovanni Falcone.
Il 1989 è l’anno dei veleni. Falcone viene accusato di far tornare in Italia il collaboratore Salvatore
Contorno con il compito di uccidere i capimafia nemici usciti vincitori nella guerra di mafia. Il tutto
viene confermate in delle lettere anonime, passate alla storia come le lettere del “Corvo” ed inviate a
varie rappresentanze istituzionali.
Il 20 giugno 1989 Falcone sfugge all’attentato tesogli all’Addaura, in una villa a mare dove passava delle
giornate estive. Furono ritrovati 58 candelotti di dinamite dentro un borsone in riva al mare. Proprio
adesso parla per la prima volta delle “menti raffinatissime” i quali vogliono dar credito alle lettere
diffamatorie del “Corvo”.
Dopo l’attentato all’Addaura e per diretto interessamento del Presidente della Repubblica Francesco
Cossiga, Giovanni Falcone viene nominato dal Consiglio Superiore della Magistratura procuratore
aggiunto del tribunale di Palermo.
Seppur molto ostacolato Falcone va avanti e nel gennaio 1990 coordina un’indagine che porterà all’arresto
di quattordici trafficanti colombiani e siciliani.
L’esperienza a Roma
Avendo teso il rapporto con il procuratore Pietro Giammanco, il quale ostacola sistematicamente il
lavoro di Giovanni Falcone, decide di accogliere l’invito del Ministro di Grazie e Giustizia Claudio
Martelli a ricoprire il ruolo di Direttore degli Affari Penali al Ministero dove prende servizio nel
novembre 1991.
Al Ministero Falcone fa in modo di semplificare e razionalizzare il rapporto tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, istituendo una forma di coordinamento tra le varie procure.
Decide così di istituire delle Procure distrettuali con esclusive competenze di contrasto alla mafia e
direttamente dipendenti dai capi degli uffici. Inoltre, per garantire la circolazione di notizie in tutto il
territorio nazionale, costituisce la Direzione Nazionale Antimafia, nota come Superprocura.
Ma quando viene indicato il nome di Falcone alla guida della Superprocura, molti colleghi lo accusano di
volersi impadronire di uno strumento di potere da lui stesso ritagliato.
In questo periodo vengono gettate le basi per la nascita di norme e di leggi che regolano la gestione dei
collaboratori di giustizia e viene ideato il carcere duro per evitare la comunicazione tra i boss in carcere e
i boss a piede libero, il cosiddetto 41bis.
Il 30 gennaio 1992 la Cassazione riconosce l’impianto accusatorio del maxiprocesso e conferma tutte le
condanne in primo grado.
Con questa sentenza Giovanni Falcone viene condannato a morte.
L’attentato
Il 23 maggio 1992 Giovanni Falcone con la moglie Francesca Morvillo, di ritorno da Roma, atterrano a
Palermo su un jet dei servizi segreti. Tre auto blindate lo aspettano, è la sua scorta.
Dopo aver preso l’autostrada arrivati allo svincolo di Capaci si sente un forte boato. Esplodono 500 chili
di esplosivo posti in un cunicolo sotto l’autostrada e perdono la vita il giudice Giovanni Falcone, la
moglie e magistrato Francesca Morvillo, gli uomini di scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito
Schifani. Restano in vita i poliziotti Giuseppe Costanza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e Paolo
Capuzza.

Adesso tocca a noi portare avanti la lotta per un’Italia libera iniziata da Giovanni Falcone.
“Questo è il Paese felice in cui se ti si pone una bomba sotto casa e la bomba per fortuna non esplode, la
colpa è tua che non l’hai fatta esplodere”
Giovanni Falcone 12 gennaio 1992

Antonino Schilirò – Riforma e Progresso

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