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The Line

The Line

Promessa realizzabile o utopia?

 

NEOM – Il progetto di megalopoli saudita

Dopo che a fine ottobre 2022 sono state pubblicate alcune immagini e cortometraggi che mostravano la presenza di cantieri con oltre 400 escavatori e migliaia di operai a lavoro(ArabianBusiness, 2022) (Newman, 2022), è divenuto di dominio pubblico che in Arabia Saudita sono iniziati i lavori per la costruzione di “The Line”, facente parte del più ampio progetto NEOM, una mega struttura voluta dal principe saudita Mohammed Bin Salman che potrebbe, se completata, non solo essere la più grande opera ingegneristica mai vista sul pianeta, ma rivoluzionerebbe il concetto di città per come lo intendiamo. 

Perché Mohammed bin Salman vuole costruire The Line?

Per quanto sia possibile che questʼopera non verrà completata, si deve considerare che il governo saudita sta fortemente investendo su NEOM e che le enormi costruzioni sono iniziate.

 

Per comprendere meglio ciò di cui si sta parlando, occorre prima comprendere cosa sia The Line e che obiettivi si pone.

 “Affronterà le sfide che l’umanità deve affrontare oggi nella vita urbana e farà luce su modi alternativi di vivere. […] Non ci saranno strade, automobili o emissioni, funzionerà al 100% con energia rinnovabile e il 95% del terreno sarà preservato per la natura. La salute e il benessere delle persone avranno la priorità sui trasporti e sulle infrastrutture, a differenza delle città tradizionali. Larga solo 200 metri, lunga 170 chilometri, alta 500 metri.” (Mohammed bin Salman, 2021). 

Un successivo annuncio di NEOM ha poi aggiunto che lʼaccesso a tutti i beni necessari sarà possibile in soli 15 minuti, anche grazie alla presenza di un treno in grado di percorrere lʼintera struttura in soli 20 minuti. 

Sarà suddivisa in 3 piani, ognuno dei quali con una diversa funzione, e utilizzerà 34 km quadrati di terreno. Infine il 40% del mondo sarà accessibile in meno di 6 ore, rendendola il centro del commercio globale.” (NEOM, 2022) 

NEOM venne lanciato originariamente nel 2016 come parte della missione saudita di diversificazione della propria economia, finalizzata ad affrancarsi dalla dipendenza dal petrolio (Procter, 2022). Addirittura, oltre a The Line, per la creazione di questa nuova zona nella provincia di Tabuk il re Salman ha fatto progettare a fianco del Neom Bay Airport la Sindalah, unʼisola di lusso che detiene il primato per la presenza della più grande struttura fluttuante al mondo, motore economico e industriale della regione, chiamata Oxagon. Grazie alle tecnologie avanguardistiche di cui sarà dotata, sull’isola, si potrà persino sciare tutto lʼanno allʼaperto,  (Wego Travel, 2022), tant’è che nel 2029 ospiterà gli Asean Winter Games, i campionati invernali asiatici. (Le Monde 2022) 

Lʼobiettivo Saudita è certamente quello di creare una regione dal nulla, con tutto ciò che può attrarre investitori, aziende o persone. Tutto questo sostenendo l’intero sistema con un quoziente di immigrazione che, se rispettasse gli obiettivi posti, sarebbe già alto per l’intera Arabia Saudita, ma incredibilmente esponenziale per la specifica provincia del Tabuk.
Disponendo del potere ideologico, politico ed economico allʼinterno del proprio stato e, data lʼimportanza dellʼinformazione nella società attuale, Mohammed bin Salman vuole infatti mostrare al mondo un’Arabia Saudita aperta, che guarda al futuro  in modo rivoluzionario, creando un centro nevralgico di vita sociale drasticamente diverso dagli altri esistenti. Neom, per rispondere a queste esigenze, è stato progettato per accogliere ben 9 milioni di persone, portando ad un saldo migratorio ampiamente positivo per il Paese. A ciò va contrapposto però  un calo drastico della popolazione autoctona della provincia di Tabuk, dato che la tribù locale denominata Huwaitat, è stata costretta a lasciare il luogo. (The Guardian 2020) 

 

I progetti urbanistici e la sostenibilità di NEOM

Nelle principali città europee, costruite per lo più in epoca antecedente la rivoluzione industriale, sussiste da tempo un grave problema urbanistico dovuto in primis all’insufficiente proporzione tra  viabilità  e mezzi di trasporto,  che contribuisce ad alimentare il grave problema delle emissioni inquinanti e climalteranti che tutti conosciamo, oltre che all’inquinamento locale da polveri sottili.
Il progetto di NEOM, essendo di concezione contemporanea, prevede espressamente che gli spostamenti interni siano effettuati solo con l’uso di mezzi pubblici e che l’intero complesso sia alimentato interamente  tramite energia rinnovabile, anche se non mancano voci che ne evidenziano le gravi difficoltà di realizzazione, richiedendo per la sua costruzione la presenza ininterrotta di enormi quantità di risorse economiche, umane ed energetiche nel mezzo del Deserto Arabico. Vanno inoltre considerati gli enormi costi energetici per la costruzione dell’opera, tenuto conto dell’enorme impianto di mezzi e di persone che dovrà lavorare per anni nel mezzo del deserto. 

Anche dal punto di vista alimentare emergono non poche criticità: sebbene infatti sia stata annunciata la sostenibilità di NEOM anche sul piano alimentare, attualmente l’Arabia Saudita importa circa l’80% del proprio cibo (BBC, 2022), senza specificare in che modo saranno in grado di produrre autonomamente una quota così ampia del proprio fabbisogno. 

 

L’opinione della comunità internazionale

 Mentre in Italia la trattazione di questo argomento è stata approssimativa o inesistente, nel resto del mondo le reazioni sono state contrastanti, tra chi sostiene la fondamentale importanza dell’opera e chi invece lo vede come un disastro ecologico e umanitario. 

Cʼè ad esempio chi sostiene che The Line meriti più amore ”[…] perché è progettata per il futuro e funzionerà grazie alle AI[…], sarà a emissioni zero, la qualità della vita per tutti migliorerà, aiuterà la conservazione del pianeta, avrà una densità della popolazione controllata, [e aggiunge che] le persone la odiano perché è un’idea nuova e le persone odiano le idee nuove [concludendo che] dobbiamo amare The Line” (Wild River Workshop, 2021) 

 

Ma è davvero così? 

Se per quanto riguarda le emissioni zero non si potrà avere alcuna certezza fino a quando l’opera non sarà completata, è pur sempre vero che costruire dal nulla una città in mezzo al nulla comporta un notevole impatto ambientale.  Anche dal punto di vista di tutela della fauna emergono gravi perplessità: secondo Dami Lee, architetto e youtuber, The Line “influenzerà drasticamente la migrazione della fauna selvatica. fermando le migrazioni degli animali[…] e uccidendone centinaia di specie”. (Dami Lee, 2022) Qualche dubbio sorge infine  in merito alla densità della popolazione controllata, in quanto la struttura di una città così compatta rischia di influire sul tipo di società che si svilupperà al suo interno, creando differenze sociali, di prestigio e la possibilità di accedere ad alcune zone o mansioni solo in base al censo di appartenenza. In tale eventualità la mobilità sociale sarebbe praticamente impossibile, almeno a livello intergenerazionale, mentre la privacy potrebbe essere  completamente compromessa  a causa di possibili controlli automatici effettuati  dallʼIA. Per non parlare di tutti gli interrogativi sulla gestione di un eventuale guasto ai trasporti, che bloccherebbe l’intera città.

 

E questo sarebbe un miglioramento della vita? Ne siamo sicuri? 

Eppure non è tutto, perché lʼanalisi deve essere estesa ad ulteriori questioni morali. Dovrebbe infatti far riflettere.

Il trattamento della tribù locale Huwaitat. “Quando hanno avviato NEOM all’inizio del 2016, Mohammed bin Salman ha promesso loro di farne parte e di condividere lo sviluppo e il miglioramento dell’area“, afferma Alya Alhwaiti, […]portavoce della tribù. “Nel 2020 sono stati costretti a lasciare la loro terra senza un posto dove stare. E nel momento in cui apri la bocca o dici qualcosa, sparisci dalla faccia della terra“. Le autorità saudite continuano a sfrattare la tribù degli Huwaitat dalle loro terre. Un loro membro, Abdul Rahim al-Huwaiti, è stato ucciso in uno scontro con le autorità saudite dopo aver rifiutato di essere trasferito. I membri del comitato consultivo di NEOM hanno dichiarato a The Independent “nessuno è stato perseguitato o allontanato con violenza dalle proprie terre”. (Daragahi Trew, 2020) Alqst, un’organizzazione per i diritti umani che documenta e promuove i diritti umani in Arabia Saudita, ha comunicato che il 2 ottobre 2022 il tribunale speciale deputato alla gestione dei casi di terrorismo ha emesso condanne a morte nei confronti di Shadli, Ibrahim e Ataullah al-Huwaiti, membri delle tribù Huawaitat. I tre  sono stati dichiarati colpevoli di essersi opposti allo sgombero delle loro case,  manifestando contro la decisione del Governo. (Indiano, 2022)

 

In conclusione

Nonostante The Line possa apparire come la città del futuro a misura d’uomo, è necessario non fermarsi alle affascinanti immagini, ai maestosi proclami o allʼapparente utopica bellezza, ma analizzare anche il rischio che questo apparente paradiso terrestre si trasformi in una città distopica in pieno stile orwelliano, nella quale ognuno ha le proprie mansioni prestabilite e un destino funzionale alla propria posizione sociale, con un’autorità centrale  sempre pronta a intervenire in caso di turbamento degli schemi impartiti. Lorenzo Mattozzi, architetto associato a MVRDV, uno dei più importanti studi di progettazione urbana al mondo, dichiara: “La domanda principale non è come e quando, ma perché[…]?” Eʼ proprio questa la questione chiave dalla quale devono partire tutte le domande e le ricerche su The Line, considerando non solo gli aspetti visibili, ma anche quelli più nascosti e purtroppo negativi, perché, per quanto The Line si proponga come mega struttura rivoluzionaria e portatrice di miglioramenti alla vita dei suoi abitanti, non dobbiamo trascurare  tutte le possibili conseguenze negative che essa porta con sé, sia attuali che potenziali. 

Scritto da:

Elia Campanini di Caffeina Politica

https://www.caffeinapolitica.com/

con la collaborazione di Vittorio Spagni di Riforma e Progresso

 

Lista dei riferimenti 

Dami Lee, 2022. This city concept breaks architecture (THE LINE) DamiLee video available at: link 

Indiano,A.,2022, Arabia Saudita, tre persone condannate a morte perché contrarie al progetto Neom. LIFEGATE Available at: link [Accessed 16 December 2022] 

Michaleson, 2020. Itʼs being built on our bloodʼ: the true cost of Saudi Arabiaʼs $500bn megacity The Guardian Available at: link [Accessed 17 December 2022] 

Morgan, 2020. Al-Huwaitat tribe seeks UN help to stop Saudi forced displacement, Al Jazeera. Available at link [Accessed 14 December 2022] 

NEOM, 2021. Launch Announcement of THE LINE, video available at: link 

NEOM, 2022. What is THE LINE ?, video available at: link 

Newman, 2022. New satellite images show progress on Saudi Arabia’s 75-mile long mega city, The Line | Daily Mail Online link [Accessed 16 December 2022] 

Nihal,2022. What is neom all you need to know about saudi arabias 500 billion megacity, thenationalnews Available at: link [Accessed 16 December 2022] 

Procter, 2022. VIEW FROM THE GULF Flying taxis, robotic avatars and holograms — Saudi Arabia pushes ahead with its sci-fi city vision,CNBC Available at: link [Accessed 16 December 2022] 

Sky TG24, 2022. Arabia Saudita, primi scavi per The Line, la città lunga 170 km. Sky TG24 Available at: link [Accessed 14 December 2022] 

Tomorrow’s Build, 2022. Saudi Arabiaʼs Line City Explained link available at: link 

Trew and Daragahi, 2020. Neom: Ancient Saudi tribe in danger of disappearing off face of the earthʼ to make way for vanity project, The Independent. Available at: link [Accesssed 16 December 2022]

https://md2pdf.netlify.app 5/6 

26/01/24, 22:10 The line 

Wego Travel, 2022. NEOM: Everything You Need To Know About KSA’s Futuristic City. Wego Travel Blog [online] Aggiornato Dicembre 2022, Available at: link [ Accessed 15 December 2022] 

Staff writer, 2022. Saudi Arabia to host 2029 Asian Winter Games. Le Monde Available at: link [ Accessed 24 October 2022] 

Staff writer, 2022, NEOM: New satellite images reveals Saudi Arabia’s The Line under construction – Arabian Business, [online] Available at: link [Accessed 16 December 2022] 

Staff writer, 2021. 5 Reasons to Love Saudi Arabia’s “THE LINE”, Wild River Workshop. Available at: link [ Accessed 3 March 2022]

 

Esercito Europeo, quali sfide e difficoltà

Panoramica

L’idea di creare un esercito europeo è stata proposta come un possibile passo verso una maggiore integrazione e cooperazione tra gli Stati membri dell’Unione europea (UE) nel campo della difesa e della sicurezza. L’obiettivo sarebbe quello di avere una forza militare europea unificata che potrebbe essere schierata per operazioni di mantenimento della pace, risposta a crisi internazionali o difesa comune. 

Tuttavia, l’idea di un esercito europeo affronta diverse sfide. La difesa rimane una responsabilità sovrana degli Stati membri, e la creazione di un esercito europeo richiederebbe un accordo unanime tra tutti gli Stati membri dell’UE, compresa l’armonizzazione delle politiche di difesa e dei bilanci militari nazionali. Inoltre, ci sono differenze significative tra gli Stati membri in termini di interessi di sicurezza e priorità di difesa, il che rende difficile raggiungere un consenso su una struttura comune per un esercito europeo.

Alcuni passi sono stati fatti verso una maggiore cooperazione militare tra gli Stati membri dell’UE. Ad esempio, l’Unione europea ha lanciato la Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO) nel 2017, che è un framework che permette agli Stati membri di collaborare in modo più stretto nella difesa e nella sicurezza. La PESCO facilita la condivisione di risorse e l’implementazione di progetti comuni di sviluppo e acquisizione di capacità militari. 

Numeri

Nel 2021 il personale militare attivo dei paesi UE era di 1.368.000 unità, quello degli USA 1.330.000 unità, superati da Cina (2.185.000) e India (1.455.000) e seguiti da Corea del Nord (1.280.000) e Russia (1.154.000).

La media pesata di militari ogni mille abitanti per l’UE è 3, maggiore di Cina (1,6) e India (1,1) e inferiore a USA (4) e Russia (8,1). 

La spesa in percentuale rispetto al PIL è 1,3% per l’UE, inferiore a USA (3,5%), Cina (1,6%), India (2,4%) e Russia (4,1%), in termini assoluti la spesa nel 2021 in miliardi di $ è per l’UE 204, inferiore a USA (738) e maggiore di Cina (193), India (64) e Russia (60). Nell’UE più della metà della spesa militare è sostenuta da Francia (57) e Germania (51), segue l’Italia con (33): questi paesi spendono più della media UE (rispettivamente 1,9%, 1,4% e 1,7% del PIL) e coprono il 28%, il 25% e il 16% della spesa totale nell’UE. 

Istituzioni europee esistenti in materia

Paragonando il ramo esecutivo dell’UE (la Commissione europea) ai governi nazionali, non è previsto un commissario che si occupi prettamente di difesa come farebbe un ministro: quanto di più simile lo si ritrova nell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che ex officio è anche presidente dell’Agenzia europea per la difesa (EDA). Secondo i Trattati di Lisbona, che ne regolano le funzioni, «guida la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione» e può proporre al Consiglio di adottare «decisioni relative alla politica di sicurezza e di difesa comune, comprese quelle inerenti all’avvio di una missione» di peacekeeping. Gli strumenti di cui l’UE è dotata da un punto di vista legislativo sono comunque limitati dai Trattati di Maastricht: «La politica estera e di sicurezza comune deve includere la progressiva formazione di una politica di sicurezza comune. Questo condurrà a una difesa comune, quando il Consiglio europeo, agendo unanimemente, deciderà così». Quindi è previsto dai trattati che si vada in direzione di una difesa comune, sempre però subordinata all’accordo di tutti i paesi membri. Negli anni si è cercato di dotare l’UE di un esercito comune, nel consiglio europeo tenutosi ad Helsinki tra il 10 e l’11 dicembre 1999 si era definito un corpo di intervento operativo composto da circa 60.000 unità che però non è mai attivato. 

 

Esercito europeo doppione della NATO?

Una delle critiche maggiori mosse nei confronti di un progetto di difesa europea comune è che questo diventi una sorta di calco della NATO. La NATO è un’organizzazione intergovernativa (mentre l’UE è un’unione politica ed economica a carattere sovranazionale). Ne fanno parte 31 paesi (32 con la prossima ratifica che sancirà l’ingresso della Svezia), 29 europei e due nordamericani (USA e Canada). Dei 29 paesi europei 22 sono anche membri UE, non ne fanno parte Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Turchia (candidati all’adesione), Islanda e Norvegia (associazione europea di libero scambio) e Regno Unito (ex-membro UE). 

Il segretario generale della NATO viene da un paese europeo, nominato per un mandato di quattro anni prorogabile (l’attuale Segretario Generale Stoltenberg, norvegese, è in carica dal 2014) ma sono gli USA a contribuire maggiormente sia per le risorse economiche che per quelle umane, rendendo i partner europei dipendenti dalla protezione americana. 

Come visto sommando numericamente i militari attivi dei singoli paesi europei, un ipotetico esercito europeo sarebbe del tutto analogo a quello statunitense. Inoltre il Parlamento europeo ha stimato che un maggiore coordinamento su armamenti e approvvigionamenti consentirebbe all’UE di risparmiare 45 miliardi di euro all’anno. Ciò comporterebbe però una cessione della sovranità nazionale all’Unione europea, evento osteggiato da non pochi membri. Qualora venissero superate queste difficoltà, congiuntamente ad un aumento della spesa (la NATO prevede che il 2% del PIL nazionale venga destinato alla difesa), le risorse messe in campo da parte dei paesi europei consentirebbero un’alleanza più equilibrata. 

Cosa ne pensano i cittadini europei?

Secondo i dati del 2022 pubblicati da Eurobarometro, l’81% della popolazione dell’UE è favorevole a una politica comune di difesa e sicurezza, con almeno due terzi di sostegno in ogni paese. Circa il 93% è concorde sull’importanza di agire insieme per difendere il territorio dell’UE, mentre l’85% ritiene che la cooperazione in ambito difensivo debba essere potenziata a livello dell’UE. Paesi tradizionalmente più neutrali o restii ad un coinvolgimento militare a seguito dell’aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina hanno deciso di avvicinarsi alla NATO come Finlandia e Svezia, ambedue già membri dell’UE. 

Perché non si trova un accordo in Europa?

Le problematiche sono molte, la prima è la già citata cessione di sovranità, osteggiata da alcuni paesi a guida sovranista. Poi ci sono questioni squisitamente geopolitiche: qualora si creasse un esercito europeo, la Francia, notoriamente a favore, avrebbe un potere spropositato, essendo l’unico membro UE, dopo l’uscita del Regno Unito, ad avere un seggio nel consiglio di sicurezza dell’ONU (su questo ci sono numerose correnti di pensiero, c’è chi crede che il seggio dovrebbe essere assegnato all’Unione europea, chi vorrebbe allargare il consiglio di sicurezza, anche con membri non permanenti, chi lo vorrebbe abolire del tutto). I paesi dell’Europa orientale sono di tutt’altro avviso, credono che una fuga in avanti degli europei andrebbe ad indebolire la NATO, dalla cui protezione (americana) dipendono. Ci sono altri paesi contrari proprio perché ritengono che un esercito europeo sarebbe una copia-carbone della NATO. Italia e Germania sono tra i paesi possibilisti, una volta chiarito il ruolo della Francia (ma sono su posizioni differenti riguardo alle soluzioni al problema). Se anche tali questioni venissero risolte, rimarrebbero le profonde divisioni in materia estera tra i vari paesi UE, e poiché serve l’unanimità per questo tipo di decisioni è facile comprendere come la strada per la creazione di un esercito europeo e di una difesa comune sia tutta in salita. 

Quindi?

La formazione di un esercito europeo e un progetto di difesa comune non possono prescindere dalla volontà politica di tutti i membri dell’UE e gli ostacoli da superare sono tanti. I vantaggi sarebbero molti, oltre ad avere il secondo maggiore esercito al mondo, una maggiore cooperazione permetterebbe di ridurre i costi e di accrescere l’autorevolezza militare dell’UE, consentendoci di seguire la nostra visione in politica estera. 

 

Michele Bagnato

Riforma e Progresso

Un progetto politico innovativo

Un sistema partito rinnovato, al passo coi tempi, costruito in modo condiviso, coordinato e strutturato secondo canoni di gestione ispirati al modello aziendale.

Concetti: trasparenza, meritocrazia, qualità, sistema aziendale, selezione, formazione, partecipazione, innovazione, logica, organizzazione, intraprendenza.

In questo articolo andremo a presentare il contesto della politica odierna, i motivi che hanno dato inizio al nostro progetto, come si è sviluppato nell’ultimo anno e come intendiamo proseguirne la crescita.

Il contesto politico attuale

Ci sono ormai molti aspetti per cui la politica odierna è spesso sottoposta a pesanti critiche. 

 

Si può iniziare dal fatto che oggi i partiti inseguono più il voto rispetto alle esigenze dei cittadini, i quali sono spesso volutamente divisi per categorie, creando inevitabilmente delle spaccature sociali: i lavoratori hanno forse la priorità sugli studenti? I disoccupati hanno la precedenza sui poveri? La politica tende spesso a scegliere chi rappresentare, soprattutto in base alla convenienza del momento, senza riferirsi alla totalità.

 

La politica deve quindi tornare a coinvolgere maggiormente i cittadini, perché sta ad essa favorire l’iniziativa del singolo; per questo è necessario ristabilire l’ordine originario di responsabilità, in quanto il cambiamento non parte dal politico in quanto tale, ma dal cittadino. L’idea del cambiamento parte dalla politica, l’attuazione parte dal cittadino.

 

Il crescente distacco tra cittadini e istituzioni che si registra nella maggior parte delle democrazie contemporanee non è ascrivibile solo a qualunquismo, disinteresse o protesta, più o meno consapevole, nei confronti di una classe politica inadeguata e corrotta. E’ indice di qualcosa di più grave: una radicale perdita di fiducia nella democrazia come veicolo di cambiamento ed emancipazione sociale, che oggi interessa in particolare i più poveri e i più svantaggiati” (Valentina Pazè, professore associato di filosofia politica, Università di Torino).

 

Per quanto riguarda le iniziative sul territorio, quando presenti, sono spesso senza criterio, banali e fini a se stesse, senza un reale intento di ascolto o, quand’anche ci sia, difficilmente vanno oltre a mere dichiarazioni di intenti. 

 

Altra questione comune è quella riferita alla classe dirigente politica, che troppo spesso si pone alla ricerca di ruoli e posizioni in ottica di carriera, anteponendo i propri interessi a quelli della Nazione; ciò provoca la perdita di motivazione e di attenzione verso i bisogni dei cittadini

 

Veniamo ora ad aspetti meno noti. 

Un primo aspetto da non sottovalutare è il rapporto di fiducia e garanzia che i partiti oggi offrono. 

 

Ne sono esempio i candidati e i programmi  proposti dai partiti; i primi, oltre ai problemi evidenziati in precedenza (interesse personale e capacità amministrativa), sono spesso improvvisati e poco formati per il proprio ruolo. Queste persone raramente vengono scelte per ragioni legate al merito, ma per conoscenza o convenienza. I programmi invece sono uguali da tempo, frutto di copia e incolla nel corso degli anni e rielaborati con i temi del momento, senza però che vi sia né la possibilità, né il modo, o la volontà di realizzarli.

 

Dopo queste premesse, restano tre strade possibili: 

 

  1. Non votare (non efficace se fatto con la speranza che la politica cambi);
  2. Lamentarsi (come fa la maggioranza, e come biasimarla?);
  3. Costruire un’alternativa efficace. 

 

Noi di Riforma e Progresso abbiamo scelto la terza.

Ora vi presentiamo il nostro progetto:

 

A ottobre 2021 Fausto Recupero, Giacomo Scotton e Gabriele Mainini hanno deciso di collaborare assieme per progettare un partito politico innovativo, integrando e sviluppando il disegno già esistente “Riforma e Progresso” di Giacomo.

 

Dopo tre mesi di programmazione e confronto, a Gennaio 2022 hanno iniziato a cercare persone motivate e interessate ad aiutarli nell’impresa, che condividessero la loro stessa analisi critica verso la politica attuale e una stessa visione innovativa di quella futura. Attualmente Il consiglio di amministrazione (CDA) di Riforma e Progresso è composto da 9 membri (Vittorio Spagni, Riccardo Negrisoli, Vittorio Mussetti, Federico Celli, Alessandro Zuchi, Ylenia Torino, Gabriele Mainini, Fausto Recupero, Giacomo Scotton).

 

A distanza di un anno contiamo oltre un centinaio di persone attive tra le nostre fila. La struttura interna è composta da sei uffici online, utilizzati per lavorare sulle aree necessarie allo sviluppo del progetto. 

 

Il progetto prevede inoltre  il coinvolgimento di sempre più persone, esperti ed associazioni; il coordinamento delle risorse per la promozione dell’iniziativa ed un consiglio direttivo per coordinare le attività principali.

 

Ci siamo resi conto che per coniugare un nuovo modo di fare politica con un’organizzazione efficiente è necessario reinventare la struttura di un partito. 

Siamo giunti ad una conclusione: occorre che la politica elabori un connubio equilibrato tra l’efficacia del mondo aziendale e le dinamiche democratiche.

 

Un primo passo verso questa direzione si coglie nella nostra struttura interna, dove è prevista l’esistenza di un comitato di garanzia (ispirato al collegio sindacale, ovvero l’organo di controllo delle società quotate che vigila sull’attività degli amministratori) col compito di essere custode dei valori, dei principi e degli obiettivi fondanti di Riforma e Progresso.

 

Altro esempio è la presenza di un CDA (consiglio di amministrazione), nato per sostituire il leader come unico detentore del potere, e di uffici specializzati: il fattore innovativo in questo caso riguarda la modalità di composizione, gestione ed accesso agli stessi, che avviene per selezione e merito, non per nepotismo. 

 

Seguiamo quei principi morali che sono comunemente considerati validi e virtuosi, perchè sono punti saldi su cui orientare un ragionamento serio e libero dai limiti dei soliti preconcetti. 

Ripudiamo l’ideologia, intesa come un modo di pensare dogmatico, rigido e standardizzato, quindi inevitabilmente inapplicabile ad una società dinamica come la nostra.

 

Ci piace definirci come startup politica, perché il nostro progetto è tutto da costruire e inventare: fare politica oggi non vuol più dire solamente far prevalere la propria visione sulle altre, ma disporre anche di una struttura in grado di realizzarla.

 

Serve per questo un partito di eccellenza, ispirato ai migliori modelli aziendali del mondo, ma rapportato alle dinamiche politiche. 

 

Folle? Forse, ma se l’alternativa è restare a guardare e subire passivamente, no grazie! 

 

Data l’ambizione e la portata, noterete probabilmente diverse criticità nel progetto e per questo vi invitiamo a farle presenti (https://www.riformaeprogresso.it/contatti/): conoscere il problema avvicina alla soluzione!

 

Vittorio Mussetti

Gabriele Mainini

Ilya Ponomarev: storia di un dissidente russo

“Sarò il De Gaulle russo”, così aveva promesso Ilya Ponomarev all’alba del 24 febbraio 2022, giorno in cui il sanguinario regime di Vladimir Putin ha dato inizio all’invasione dell’Ucraina. L’ex membro della Duma è oggi a capo della Legione Russia Libera, i cui volontari combattono fianco a fianco con gli ucraini nella regione più calda di questo conflitto: il Donbass. Certamente il paragone con il generale francese sembra ardito, ma il miliardario russo ha sempre dimostrato di avere una forte personalità.

Ma chi è Ilya Ponomarev? E perché viene considerato il nemico interno numero per Vladimir Putin?

 

Carriera politica

Dopo aver militato per 6 anni nel KPRF (Partito Comunista della Federazione Russa), nel 2007 entra a far parte di “Russia Giusta”, un partito politico russo di orientamento socialdemocratico generalmente considerato pro Cremlino. È inoltre stato uno dei promotori delle proteste anti-regime in Russia tra il 2011 e il 2013, note anche come Rivoluzione Bianca. Nel 2013 lascia “Russia Giusta” a seguito dell’espulsione dell’imprenditore Gennady Gudkov e di suo figlio Dmitry, rei di aver partecipato a delle proteste contro il regime. Nel 2014 è l’unico membro della Duma a votare contro l’annessione della Crimea alla Russia, venendo accusato di essere contrario agli interessi nazionali. Da sempre ostile a Vladimir Putin, lo ha definito un “bullo” e un “mafioso” e il 4 ottobre 2022 ha pubblicato il libro “Does Putin have to die?” in cui Ponomarev teorizza il percorso della Russia per diventare una democrazia.

 

La Rivoluzione Bianca

Raccontando la storia di Ilya Ponomarev non si può certo non citare la cosiddetta “Rivoluzione Bianca”, ovvero le numerose proteste avvenute tra il 2011 e il 2013 in Russia.

Queste proteste sono nate a seguito di alcune presunte irregolarità avvenute durante le elezioni parlamentari che avrebbero favorito il partito di Putin, Russia Unita. Protagonista delle manifestazioni insieme al noto Alexei Navalny, nel 2012 Ponomarëv ha tenuto un discorso alla Duma in cui ha definito “truffatori e ladri” i membri di Russia Unita, riprendendo in parte gli appellativi utilizzati inizialmente dallo stesso Navalny. Nel settembre dello stesso anno, i membri della Duma hanno perciò votato una mozione volta a censurarlo. Anche in questa occasione, Ponomarev è stato capace di distinguersi per il suo coraggio e per la sua tenacia davanti alle pesanti pressioni del regime che tuttavia lo hanno portato a lasciare la Russia nel 2014 e a trasferirsi in Ucraina nel 2016, dopo un soggiorno biennale negli Stati Uniti.

 

Rapporto con l’Ucraina

Dopo che l’ex presidente ucraino Poroshenko gli ha concesso la cittadinanza, Ilya Ponomarev ha iniziato a lavorare per attirare investitori in Ucraina, in particolare nel settore petrolifero ed energetico, a tal punto che è stato considerato a lungo il referente di George Soros per quanto riguarda il gas in Ucraina. Ha ammesso di aver collaborato con il gruppo responsabile della morte di Daria Dugina, figlia del noto ideologo russo Dugin, morta lo scorso agosto a seguito dell’esplosione della sua auto. Da qualche tempo, alla guida della Legione Russia Libera, ha iniziato a promuovere attacchi all’interno della stessa Russia (l’esempio più lampante è sicuramente ciò che è accaduto nella città di Belgorod) e ha annunciato di essere in contatto con uomini del Cremlino che potrebbero presto diventare alleati comuni contro lo zar.

 

Sebbene ad una prima occhiata Ilya Vladimirovich Ponomarev possa sembrare un mitomane assetato di potere nell’ottica di una Russia post-Putin, recentemente sta trovando sempre più visibilità anche in Occidente e ad oggi viene considerato l’unico vero promotore di una possibile rivolta a Mosca. Se Ponomarev passerà alla storia come il De Gaulle russo solo il tempo può dircelo, quel che certo è che la sua figura è certamente la più interessante tra quelle appartenenti al mondo dell’opposizione russa, nella speranza che presto il crudele regime putiniano venga sconfitto e che in Russia possa tornare una speranza di democrazia.

 

Fonti:

https://ru.wikipedia.org/wiki/Пономарёв, Илья Владимирович

https://it.wikipedia.org/wiki/Proteste_in_Russia_del_2011-2013

https://www.radio24.ilsole24ore.com/programmi/luogo-lontano/puntata/trasmissione-24-maggio-2023-151000-AEH2kUXD

https://www.bbc.co.uk/sounds/play/w3ct1n2q

 

Alessandro Bignami

Per Riforma e Progresso

Chi è stato Paolo Borsellino?

E’ bello morire per ciò in cui si crede. Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”

Iniziamo con queste parole per raccontare chi è stato Paolo Borsellino
Nascita e formazione
Paolo Borsellino nasce a Palermo il 19 gennaio 1940 nel quartiere popolare la Kalsa, lo stesso dove ha vissuto Giovanni Falcone. Si conobbero all’età di tredici anni in una partita di calcio all’oratorio.
Frequenta il liceo classico “Giovanni Meli” e l’11 settembre 1958 si iscrive a Giurisprudenza a Palermo.
Il 27 giugno 1962, all’età di ventidue anni, si laurea con 110 e lode.
Gli inizi in magistratura
Nel 1963 Borsellino partecipò al concorso per entrare in magistratura diventando il magistrato più giovane d’Italia. Iniziò il tirocinio come uditore giudiziario e nel settembre 1965 venne assegnato al tribunale di Enna nella sezione civile. Nel 1967 fu nominato pretore a Mazzara del Vallo.
Il 23 dicembre 1968 si sposò con Agnese Piraino Leto, i quali ebbero tre figli: Lucia, Manfredi e Fiammetta.
Nel 1969 divenne pretore a Monreale dove cominciò a lavorare con il capitano dei Carabinieri Emanuele Basile.
Il trasferimento a Palermo
Nel 1975 Borsellino venne trasferito presso l’Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo. Con il capitano Basile nel 1980 continuò l’indagine di Boris Giuliano, ucciso nel 1979, sui rapporti tra i mafiosi di Altofonte e Corso dei Mille.
Il 4 maggio 1980 il capitano Basile venne ucciso e a Borsellino fu assegnata la scorta.
Il pool antimafia
Il 29 luglio 1983 fu ucciso Rocco Chinnici da un’atobomba e l’idea del pool fu messa in pratica dal suo successore, Antonino Caponnetto. Ne facevano parte: Paolo Borsellino, Giovanni Falcone, Giuseppe di Lello e Leonardo Guarnotta.

Lo scopo del pool era condividere fra più persone la conoscenza e le informazioni sul fenomeno mafioso per coordinarsi fra le varie indagini e rendere più efficace l’azione giudiziaria.
Questo portò, con il pentimento di Tommaso Buscetta, a spiccare i primi 366 mandati di cattura e poi altri 127 grazie alle dichiarazioni del pentito Salvatore Contorno.

Il maxiprocesso

Nell’estate del 1985 Falcone e Borsellino furono costretti a trasferirsi con le loro famiglie nella foresteria del carcere dell’Asinara dove scrissero l’ordinanza-sentenza di 8 mila pagine che rinviava a giudizio 476 indagati.
Così, il 10 febbraio 1986, si aprì ufficialmente il maxiprocesso. Successivamente fu proprio Borsellino a rendere noto il fatto che fu fatto pagare il soggiorno ai due magistrati.

Il trasferimento a Marsala

Il 19 dicembre 1986 Borsellino chiese ed ottenne la nomina come Procuratore della Repubblica di Marsala

Questo trasferimento, visto che non fu seguito il criterio di nomina dell’anzianità di servizio, portò Leonardo Sciascia ad innescare la famosa polemica sui “Professionisti dell’antimafia” dove polemizzava sul fatto che l’antimafia fosse usata come uno strumento per fare carriera in magistratura.

Dopo la sentenza di primo grado del maxiprocesso, Antonino Caponnetto lasciò la guida dell’Ufficio Istruzione di Palermo convinto che il suo posto venisse preso da Giovanni Falcone. Ma non fu così. Il CSM gli preferì Antonino Meli, seguendo il criterio di anzianità, il quale non aveva esperienza alcuna in indagini di mafia. Così il pool, mano a mano, venne smantellato.
Borsellino reagì con due interviste rilasciate il 20 luglio 1988 dove dichiarò: si doveva nominare Falcone per garantire la continuità all’Ufficio”, “hanno disfatto il pool antimafia”, “hanno tolto a Falcone le grandi inchieste”, “la squadra mobile non esiste più”, “stiamo tornando indietro, come 10 o 20 anni fa” .

Per queste sue dichiarazioni rischiò un provvedimento disciplinare e vennero predisposti accertamenti da parte del ministero per capire cosa stesse succedendo nel Palazzo di Giustizia di Palermo.

Nel frattempo Falcone, bocciato pure nell’elezione al CSM, accettava di dirigere gli Affari penali del Ministero di Grazia e Giustizia dove ideò, tra le tante cose, la DNA e la Superprocura antimafia contro cui si espresse criticamente anche Borsellino.

Il ritorno a Palermo

Secondo le parole del collaboratore Vincenzo Calcara, nel settembre 1991 Cosa Nostra incaricò lo stesso Calcara per uccidere Borsellino il quale, però, venne arrestato il 5 novembre e decide di pentirsi per salvare Borsellino.

Nel marzo 1992 Borsellino ritorna a Palermo come Procuratore aggiunto insieme al sostituto Antonio Ingroia.

Il 21 maggio 1992 Paolo Borsellino rilascia un’intervista dove parla dei rapporti tra Cosa Nostra e l’imprenditoria milanese, accennando ad indagini in corso sui rapporti tra Vittorio Mangano e Marcello Dell’Utri.

Dopo la morte di Giovanni Falcone Borsellino fece di tutto per scoprire la verità sulla strage di Capaci.

In una presentazione del libro di Pino Arlacchi, nonostante il suo rifiuto, i ministri Vincenzo Scotti e Claudio Martelli annunciarono che avrebbero chiesto al CSM di riaprire il concorso per permettergli di partecipare alla nomina come Procuratore Nazionale Antimafia.

Borsellino non replicò direttamente ma rispose qualche giorno dopo affermando che:la scomparsa di Giovanni Falcone mi ha reso destinatario di un dolore che mi impedisce di rendermi beneficiario di effetti comunque riconducibili a tale luttuoso evento”.

La sera del 25 giugno partecipò ad un incontro pubblico per la presentazione di un fascicolo dedicato al fenomeno mafioso nell’atrio della Biblioteca comunale. In questo incontro lasciò quello che poi venne definito “testamento morale” di Borsellino. In questo incontro non poté rivelare dei particolari sull’indagine sulla Strage di Capaci anche perché rivestiva il ruolo di testimone e doveva essere ascoltato a Caltanissetta, dove si svolgevano le indagini sulla strage.

La morte

Il 19 luglio 1992 il giudice con la famiglia si trovavano a Villagrazia di Carini e nel pomeriggio si recò, con la sua scorta, in via D’Amelio in visita alla madre.

Alle 16:58 una Fiat 126, parcheggiata sotto casa della sorella, esplose non appena Borsellino suonò al citofono.

In quell’istante morirono il giudice Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina e Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio). Sopravvisse solamente l’autista Antonio Vullo.

 

Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo”

Paolo Borsellino

Antonino Schilirò – Riforma e Progresso

Chi è stato Giovanni Falcone?

“L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, l’importante è saper convivere con la propria
paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti è non è più coraggio
ma incoscienza.”
Iniziamo con queste parole a raccontare chi è stato Giovanni Falcone
Nascita e formazione
Nato a Palermo il 18 maggio 1939 e cresciuto alla Kalsa, stesso quartiere di Paolo Borsellino, fin da
bambino si trova a giocare con figli di capimafia che poi dovrà imputare nel maxiprocesso.
Frequenta il liceo Umberto I e, dopo aver conseguito la licenza liceale con il massimo dei voti, effettua
una breve esperienza all’Accademia navale. Ma Giovanni scopre presto che la vita militare non fa per lui e
si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza di Palermo e capisce fin da subito che la sua strada sarà la
magistratura.
Questo periodo si avvicina molto allo sport e pratica nuoto fino al 1980, quando dovrà smettere per la vita
blindata che è costretto a fare.
Nel 1962 incontra Rita e si innamora. Nel 1964 decidono di sposarsi mentre Falcone frequenta il concorso
in magistratura.
I primi passi in magistratura
Nel 1965 ottenne il primo incarico come pretore a Lentini e nel 1967 viene trasferito a Trapani dove
coltiva la sua natura giuridica e politica.
È lì, durante il processo contro le cosche del trapanese, che avviene il suo primo incontro con i clan e con
un capomafia: Mariano Licari.
Dirà di lui Falcone nel 1985: “Mi imbattei in un boss di rango. Era Mariano Licari, un patriarca
trapanese. Lo vidi in dibattimento, in Corte d’Assise. Era sufficiente osservare come si muoveva per
intravedere subito il suo spessore di patriarca”.
È ancora a Trapani che il giovane magistrato si trova a rischiare per la prima volta la vita: mentre è in
carcere come giudice di sorveglianza, a Favignana, un terrorista appartenente ai nuclei armati proletari lo
prende in ostaggio puntandogli un coltello alla gola. In cambio del rilascio chiede e ottiene di poter fare
delle dichiarazioni alla radio.
L’arrivo a Palermo
Nel 1978 Giovanni Falcone chiede il trasferimento a Palermo e viene assegnato alla sezione
fallimentare. Nel 1979 si separa dalla moglie e approda alla giustizia penale.
Falcone arrivò a Palermo sotto pressione di Rocco Chinnici dopo l’uccisione del giudice Terranova.

Le prime indagini su cui lavorò furono quelle su Rosario Spatola, un imprenditore mafioso italo-
americano, e si accorse subito dei legami tra alta finanza e economia con la mafia e capisce di dover

seguire il giro che fanno i soldi per poter realmente capire chi aiuta e favoreggia la criminalità
organizzata.
Questa fu un’inchiesta che si muove tra la mafia palermitana, mafia americana e passando per il mondo
politico-finanziario di Michele Sindona.
Si tratta della più potente associazione mafiosa legata al traffico di droga dalla quale arrivano ingenti
somme di denaro e poi vengono ripuliti nell’economia legale attraverso il banchiere Sindona.
Aprendo questo “libro” Falcone capisce l’estrema pericolosità, dovuta pure dalla quantità di omicidi che
ne seguirono.
Così Falcone inventa un nuovo metodo investigativo che rivoluzionerà la lotta a Cosa Nostra, estendendo
le ricerche al campo patrimoniale ed entrando per la prima volta nelle banche.
Vista la pericolosità dell’inchiesta, indagando sulle cosche Spatola-Inzerillo, nel 1980 viene messo sotto
scorta.
Questa indagine vede per la prima volta molte condanne esemplari tra le fila delle cosche mafiose. Ma la
loro risposta non si fa attendere. Il 29 luglio 1983 un’autobomba in Via Pipitone Federico uccide Rocco
Chinnici e gli uomini della sua scorta.
Girando le immagini di Palermo come “Beirut” i palermitani “affidano” a Falcone il compito di
proteggerli così diventa il simbolo della lotta alla mafia.
Con l’arrivo a Palermo a cambiare non è solo la vita professionale di Falcone ma pure personale. E’ qui
che nel 1979 incontra Francesca Morvillo.
Se ne innamora e si sposano nel 1986 ed uno dei testimoni è Antonino Caponnetto, capo del pool antimafia.
La nascita del pool antimafia
Subito dopo l’attentato di Rocco Chinnici arriva a Palermo a sostituirlo Antonino Caponnetto, un giudice
di Firenze sconosciuto ai palermitani.
Crede fortemente nel lavoro di Giovanni Falcone e così nasce il pool antimafia, un gruppo di lavoro che
indaga e si coordina su tutte le indagini relative a Cosa Nostra.
Il pool antimafia è composto da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe di Lello e Leonardo
Guarnotta. Come stretto collaboratore trovano il vice questore Ninni Cassarà il quale sarà autore della
redazione del rapporto di polizia sulla mega-inchiesta.
Nel 1984 Falcone ottiene le prove che porteranno all’arresto di Vito Ciancimino con l’accusa di
associazione mafiosa e importazione di capitali all’estero.
Poco tempo dopo vengono arrestati pure gli intoccabili esattori di Palermo: i cugini Ignazio e Nino
Salvo.
Il maxiprocesso
Il 28 luglio 1985 venne ucciso il commissario Beppe Montana e il 6 agosto dello stesso anno tocca a
Ninni Cassarà.
Falcone riceve minacce dal carcere e Antonino Caponnetto manda lui e Paolo Borsellino al carcere
dell’Asinara per terminare di scrivere l’ordinanza di sentenza del rinvio a giudizio del maxiprocesso.
Tornati a Palermo ricevono pure il conto del “soggiorno”: 415 mila lire.
L’8 novembre 1985 il pool deposita l’ordinanza di rinvio a giudizio di 475 imputati e il 10 febbraio 1986
inizia il primo maxiprocesso a Cosa Nostra.
Il 16 dicembre 1987 il presidente della Corte d’Assise, Alfonso Giordano, legge la sentenza: ai 339
imputati vengono inflitti 2665 anni di carcere con 19 ergastoli. Da questo giorno la mafia esiste e non è
impunibile.
E’ passata la tesi dell’unicità di Cosa Nostra nata nell’epoca dell’inchiesta Spatola, confermata durante il
maxiprocesso da Tommaso Buscetta. Proprio lui, l’ex boss nato a poche centinaia di metri dalla piazza
della Magione in cui era cresciuto Giovanni Falcone, ha rivelato e fatto conoscere a Giovanni Falcone
cosa era realmente Cosa Nostra.
Nel maggio del 1986 si sposa con Francesca Morvillo.
Gli anni dei veleni e l’isolamento
Finito il maxiprocesso il giudice Antonino Caponnetto va in pensione, essendo sicuro che il suo posto
verrà preso da Giovanni Falcone.
Ma il Consiglio Superiore della Magistratura nomina Antonino Meli il quale smantella il pool
antimafia.
Frantumando i processi dividendoli in vari uffici si perde il filo conduttore che esistono tra le varie
vicende e inizia così un periodo molto difficile per Giovanni Falcone.
Il 1989 è l’anno dei veleni. Falcone viene accusato di far tornare in Italia il collaboratore Salvatore
Contorno con il compito di uccidere i capimafia nemici usciti vincitori nella guerra di mafia. Il tutto
viene confermate in delle lettere anonime, passate alla storia come le lettere del “Corvo” ed inviate a
varie rappresentanze istituzionali.
Il 20 giugno 1989 Falcone sfugge all’attentato tesogli all’Addaura, in una villa a mare dove passava delle
giornate estive. Furono ritrovati 58 candelotti di dinamite dentro un borsone in riva al mare. Proprio
adesso parla per la prima volta delle “menti raffinatissime” i quali vogliono dar credito alle lettere
diffamatorie del “Corvo”.
Dopo l’attentato all’Addaura e per diretto interessamento del Presidente della Repubblica Francesco
Cossiga, Giovanni Falcone viene nominato dal Consiglio Superiore della Magistratura procuratore
aggiunto del tribunale di Palermo.
Seppur molto ostacolato Falcone va avanti e nel gennaio 1990 coordina un’indagine che porterà all’arresto
di quattordici trafficanti colombiani e siciliani.
L’esperienza a Roma
Avendo teso il rapporto con il procuratore Pietro Giammanco, il quale ostacola sistematicamente il
lavoro di Giovanni Falcone, decide di accogliere l’invito del Ministro di Grazie e Giustizia Claudio
Martelli a ricoprire il ruolo di Direttore degli Affari Penali al Ministero dove prende servizio nel
novembre 1991.
Al Ministero Falcone fa in modo di semplificare e razionalizzare il rapporto tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, istituendo una forma di coordinamento tra le varie procure.
Decide così di istituire delle Procure distrettuali con esclusive competenze di contrasto alla mafia e
direttamente dipendenti dai capi degli uffici. Inoltre, per garantire la circolazione di notizie in tutto il
territorio nazionale, costituisce la Direzione Nazionale Antimafia, nota come Superprocura.
Ma quando viene indicato il nome di Falcone alla guida della Superprocura, molti colleghi lo accusano di
volersi impadronire di uno strumento di potere da lui stesso ritagliato.
In questo periodo vengono gettate le basi per la nascita di norme e di leggi che regolano la gestione dei
collaboratori di giustizia e viene ideato il carcere duro per evitare la comunicazione tra i boss in carcere e
i boss a piede libero, il cosiddetto 41bis.
Il 30 gennaio 1992 la Cassazione riconosce l’impianto accusatorio del maxiprocesso e conferma tutte le
condanne in primo grado.
Con questa sentenza Giovanni Falcone viene condannato a morte.
L’attentato
Il 23 maggio 1992 Giovanni Falcone con la moglie Francesca Morvillo, di ritorno da Roma, atterrano a
Palermo su un jet dei servizi segreti. Tre auto blindate lo aspettano, è la sua scorta.
Dopo aver preso l’autostrada arrivati allo svincolo di Capaci si sente un forte boato. Esplodono 500 chili
di esplosivo posti in un cunicolo sotto l’autostrada e perdono la vita il giudice Giovanni Falcone, la
moglie e magistrato Francesca Morvillo, gli uomini di scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito
Schifani. Restano in vita i poliziotti Giuseppe Costanza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e Paolo
Capuzza.

Adesso tocca a noi portare avanti la lotta per un’Italia libera iniziata da Giovanni Falcone.
“Questo è il Paese felice in cui se ti si pone una bomba sotto casa e la bomba per fortuna non esplode, la
colpa è tua che non l’hai fatta esplodere”
Giovanni Falcone 12 gennaio 1992

Antonino Schilirò – Riforma e Progresso

I PROBLEMI DELLA RETE ELETTRICA – Cosa può fare il nucleare?

I PROBLEMI DELLA RETE ELETTRICA – Cosa può fare il nucleare?

Immaginiamoci un’Italia alimentata da sole fonti rinnovabili. Ad oggi sappiamo che i problemi
che questa scelta comporterebbe sono numerosi: difficoltà a mantenere il carico di base,
necessità di grandissimi e numerosi centri di accumulo (tecnologia ad oggi immatura per la
scala di rete) e ovviamente il problema dell’aleatorietà. Ma immaginando che tutti questi
problemi sparissero per magia, la nostra rete nazionale sarebbe in grado di gestire un 100%
rinnovabili? Cosa dovrebbe cambiare? Scopriamolo!
Iniziamo con un concetto fondamentale: la stabilità di una rete elettrica è data da un fragile
equilibrio tra la produzione e il consumo e deve rispondere alla volatilità dei disturbi di
tensione e frequenza.
I problemi di una rete basata solo sulle rinnovabili:
Se da una parte le rinnovabili stanno subendo una rapida diffusione grazie alla notevole
riduzione dei costi dovuta agli attuali obiettivi di decarbonizzazione e ai numerosi incentivi
statali, dall’altra queste sono continuamente soggette a fluttuazioni e instabilità, dal
momento che fanno affidamento su vento e sole. I principali problemi che ciò comporta per
la rete elettrica sono: anomalie di frequenza e tensione, possibile sovraccarico delle linee di
trasmissione esistenti e un disadattamento della domanda e dell’offerta. Tutto questo
oscillare può portare al deterioramento della componentistica di alcune parti critiche degli
impianti di trasmissione e distribuzione.
L’accumulo con batterie su scala di rete
Le batterie rappresentano una valida opzione per incrementare la flessibilità della rete,
grazie alla possibilità di “spostare” nel tempo una parte dei consumi (time shifting), salvando
così energia quando costa meno (bassa domanda) per poi usarla in seguito, quando la
domanda cresce e il costo al kWh sale.
Gli accumuli, anche se di breve durata (solitamente tra le 6 e le 8 ore) e solare fotovoltaico
sono complementari, perché insieme possono ridurre notevolmente la capacità di carico
netta che deve essere garantita da fonti non rinnovabili. Le batterie possono quindi
contribuire a bilanciare il carico di rete, evitando fluttuazioni e rischi di blackout.
Ma è davvero così?
Analizziamo il caso della California: La California è uno dei leader mondiali per la “corsa alle
rinnovabili”. Fino ad ora ha installato circa 27 GW di energia rinnovabile intermittente,
accompagnata da sistemi di accumulo a batterie per circa 3 GW, quest’ultime con un costo
di svariati milioni di dollari. Il risultato? 4297 blackout annuali per un totale di 22 milioni di
persone senza corrente solo nel 2018. Che stabilità! Ma facciamo un altro esempio. La
powerwall di Tesla in Australia ha un costo stimato di 90 milioni di dollari, con una capacità di
accumulo di 300 MWh (100 MW x 3 ore). Seguendo questi trend, cosa significherebbe per
l’Italia? Immaginando 300 TWh di rinnovabili (ad oggi, ma nel 2050 saranno molti di più!),

con 100 TWh di accumulo il costo sarebbe circa di 30 mila miliardi di dollari. Conveniente
no?
Sempre la California ha promesso che questi enormi investimenti nelle rinnovabili (ad oggi
sono stati stanziati MILIARDI in incentivi) avrebbero portato lo stato a ridurre la dipendenza
dai combustibili fossili. Sta funzionando? NON PROPRIO!Negli ultimi 12 mesi infatti il gas è
stata la fonte principale di produzione elettrica, nonostante gli sforzi per accumulare e
produrre energia rinnovabile.
Le emissioni annuali sono stimate a 282g di carbonio per kWh prodotto. Il nucleare ha
rappresentato circa lo 0,33% delle emissioni totali.

Il Mismatch tra Domanda e Offerta
Dati alla mano, uno dei maggiori problemi di una rete solo rinnovabile sarebbe il mismatch
tra domanda, offerta e geolocalizzazione. In Italia ad esempio, le rinnovabili non hanno
sempre le stesse potenzialità su tutto il territorio. Eolico e solare sono fonti intermittenti e
dipendenti dall’intensità di sole e vento, che varia in base a dove ci si trova. Il problema? Nel
nostro paese il 56% dei consumi è a Nord*, ma il sole sta nel Sud Italia, mentre il vento è
bloccato dalle Alpi e dagli Appennini. C’è però una regione che sarebbe perfetta per
installare l’eolico in Italia: la Sardegna! Purtroppo però è anche la prima regione d’Italia per
numero di ricorsi al TAR mensili contro questa tecnologia (basta consultare un qualsiasi
giornale locale per sondare l’opinione della gente del luogo). Ma torniamo alla rete elettrica.
Data la notevole distanza tra Nord e Sud, per un 100% rinnovabile bisognerebbe riadattare
intere linee di trasmissione, per gestire i picchi e le notevoli perdite causate dalle lunghe
distanze di trasmissione. Sarebbe più economicamente sostenibile riadattare tutte le linee o
aggiungere qualche GW di nucleare al nostro mix energetico?
“La strategia italiana di lungo termine per la riduzione dei gas effetto serra”:
analisi degli scenari.
Il piano di decarbonizzazione italiano al 2050, inviato alla commissione europea a febbraio
2021, si basa principalmente sull’ipotesi della riduzione dei consumi. Cito dal testo: “i
consumi finali devono scendere sensibilmente, di circa il 40% rispetto a quelli attuali”.
Siccome questo scenario NON è ad oggi credibile, almeno guardando quelli che sono gli
attuali trend, analizziamo gli scenari più credibili. La domanda di energia al 2050 si aggirerà
intorno ai 650 TWh. Come farebbe l’Italia a raggiungere tale obiettivo con SOLE energie
rinnovabili? É credibile? É fattibile? Ma soprattutto, è sostenibile economicamente? Quanto
dovremmo installare? Scopriamolo.
100% RINNOVABILE BY 2050
-Solare fotovoltaico: 515 GW installati (oggi siamo a 24 GW). Questo significherebbe
ricoprire di pannelli fotovoltaici un’area poco più grande della valle d’Aosta.
-Eolico: stabile a 22 GW in quanto il solare è ad oggi più conveniente (a parità di energia
prodotta).

-Biogas: 35GW, con quasi 6000 biodigestori operativi in tutto il territorio.
-Batterie: 104 GW per un totale di 800 GWh di produzione (batterie con 8 ore di carica). Solo
per l’Italia sarebbe necessario triplicare la produzione MONDIALE di batterie al litio.
-Energia “buttata”: (ma sempre pagata): 210 TWh.
Sfruttare il surplus per produrre Idrogeno verde non sarebbe economicamente sostenibile,
nonostante se ne potrebbero produrre fino a 4,5 milioni di tonnellate. Questo perché
servirebbero oltre 200 GW di impianti di elettrolisi, per una produzione annuale di 1300 ore
(pochissimo!), il che non rende valido l’immenso investimento.
RINNOVABILI E NUCLEARE?
Diamo un’occhiata allo scenario che include il nucleare. Cosa cambia?
-Solare fotovoltaico: 175 GW installati (scende di 3 volte).
-Eolico: invariato a 22 GW. -Biogas: scende a 20GW.
-Nucleare: 37 GW (meno della Francia!).
-Batterie: 36 GW (si riduce a 1/3).
-Energia “buttata”: 37 TWh (scende di un fattore 6). Costo dell’energia: dal 25% al 35% più
basso, nonostante le nuove interconnessioni.*
Le altre fonti di energia (idro, geotermico, RSU ecc.) non sono state citate in quanto non
sufficientemente rilevanti per questa analisi. Ovviamente saranno anch’esse parte del
percorso di decarbonizzazione.
Insomma, è piuttosto evidente come l’inclusione dell’energia nucleare porti un grande
beneficio, sia in termini di emissioni (perché sì, il solare inquina più del nucleare a parità di
energia prodotta), sia in termini economici. Auspichiamo ad un’installazione che superi i 40
GW, in modo da coprire anche se solo in parte il teleriscaldamento, che grazie al calore di
scarto potrebbe riscaldare ad impatto (quasi) 0 migliaia di case. Ad oggi il dialogo per
l’inclusione dell’energia nucleare in Italia si sta piano piano sviluppando.
Certe volte invece può sembrare che il dibattito scientifico sull’energia nucleare possa
essere ancora aperto, causa giornali o talk show. É sempre importante ricordare che il
dibattito scientifico su questa fonte di energia è chiuso da decenni. Il nucleare è tra le più
sicure fonti di energia, con le minori emissioni, con costi operativi infimi rispetto perfino alle
rinnovabili, poco mineral intensive, necessità di poco spazio e produce pochi, gestibili e ben
stoccati rifiuti.

Il team GiovaniBlu

 

Fonti:

Statistiche terna
Intensità radiazione solare
Glossario
Analisi scenari 2050
Economicamente più sostenibile
Più “green”
California e accumulo
Cost and performance california

CHI E’ IL FRATELLO DELLO ZIO SAM?

CHI E’ IL FRATELLO DELLO ZIO SAM?

Joe Biden, Vladimir Putin, Xi Jinping; tre persone potenti fino al punto di diventare sinonimi delle nazioni che guidano, fino al punto di aver fatto divenire i loro nomi e quelli dei loro Paesi intercambiabili nel giornalismo internazionale. Tuttavia, all’appello manca un altro attore, da sempre protagonista dello scacchiere geopolitico mondiale: l’Unione Europea.

Infatti, nel Vecchio Continente manca una figura di spicco, qualcuno di così influente che possa rappresentare non solo l’Unione ed i suoi valori, ma anche le nazioni che non ne fanno parte. Naturalmente, il pensiero si rivolge alle sue quattro maggiori economie: Germania, Francia, Regno Unito ed Italia. Ciò che questo articolo si pone, è di analizzare sinteticamente le situazioni politiche interne a questi Paesi ed infine il motivo del vuoto di “influenza” al livello intergovernativo.

Prima all’appello è la Repubblica Federale Tedesca, il Paese guidato fino all’8 dicembre 2021 da Angela Merkel, la persona che più si è avvicinata ad essere l’identità dell’Unione. Al giorno d’oggi, dopo quasi dieci mesi di mandato, molte persone che non si informano regolarmente di affari esteri non riuscirebbero a ricordare il nome di Olaf Scholz, l’attuale Cancelliere Federale, colui che è succeduto alla Merkel. Dunque, non può essere lui la figura centralizzante: una persona conosciuta per aver lavorato dietro le quinte di molti partiti e governi, una persona il cui soprannome è “Il politico più noioso d’Europa”, che, pur avendo le capacità di prendere decisioni spesso difficili e impopolari, è privo di quel carisma che tanto condiziona i leader di oggi. La politica di oggi ha necessariamente bisogno di curare anche l’aspetto, oltre che le competenze: se ha i riflettori puntati addosso, anche una segreteria diventa un palcoscenico.

Chiarito questo primo aspetto, ne si individua anche un altro, molto più sostanziale, sul perché Olaf Scholz non può essere, oltre la faccia dell’Unione, anche la mano che ne porta la fiaccola dei valori: la Germania del suo governo ha spesso preso decisioni non in linea con il principio di solidarietà che ha caratterizzato l’UE dalla sua nascita. Limitato dalla forte dipendenza energetica con la Russia, Scholz non ha da subito pareggiato lo sforzo di altri Paesi UE nel sostenere l’Ucraina politicamente e materialmente: nascondendosi dietro errori logistici e comunicativi dei propri ministeri (peraltro smentiti anche da emittenti governative ucraine), ha inviato poche armi, di qualità discutibile e relativamente attempate. Non solo, ma anche in vista del prossimo inverno, che sottoporrà tutto il Vecchio Continente, in particolar modo i Paesi del blocco tradizionale NATO, ad una prova di resistenza mai affrontata dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, Scholz sta prendendo in considerazione di sospendere alcune esportazioni elettriche verso la Francia e di istituire un proprio tetto al prezzo del gas. Tutto ciò sta comportando una perdita di status della Germania: da nazione trainante dell’Unione, a giocatore in lotta per la sopravvivenza.

Passando al Paese che più aveva possibilità di elevarsi a baluardo dell’Unione, custode dei suoi valori e guidato da una persona prontissima a diventarne il volto, la Francia di Emmanuel Macron sembra essersi affievolita con il tempo. Citando lo stesso Macron, “è finita l’era dell’abbondanza”. Partendo dai suoi stessi comizi elettorali nel 2017 in cui, primo nel Continente, ha fatto volare bandiere europee accanto a quelle francesi, passando alle telefonate e riunioni con Putin per scongiurare il rischio della guerra che è comunque scoppiata, fino ad arrivare ad una vittoria risicata alle elezioni presidenziali ed a una maggioranza relativa alle parlamentarie, che non gli permette di governare da solo: il suo percorso al vertice racconta la storia di un capo di Stato che ha man mano perso sempre più potere, che ha scommesso sull’unità europea e ha visto dei rendimenti decrescenti alla sua scommessa. Il sistema francese, semi-presidenziale, è spesso vittima del problema noto come co-abitazione: essendo frutto di due elezioni differenti, è possibilissimo che il presidente (capo di Stato, ma non del Governo) e la maggioranza parlamentare non siano dello stesso partito, pur essendo entrambi espressione della volontà popolare. Ciò comporta relativa difficoltà di legislazione, ed è il problema che, seppur in misura minore (La Republique En Marche, il suo partito, ha il maggior numero di seggi in parlamento ma non la maggioranza), Macron deve affrontare. Dunque, le energie che dedica ai problemi domestici devono essere necessariamente sottratte alla politica estera, nel momento in cui l’Unione maggiormente necessita di cure e disponibilità dei suoi componenti.

Avendo trattato dei leader impossibilitati ad ascendere al ruolo di figura cardine per colpa di affari interni, credo sia giunto il momento di discutere di quelli che non hanno fatto in tempo a rafforzarsi fino a raggiungere questa posizione, poiché hanno visto la fine dei propri mandati dall’inizio della guerra fino ad oggi.

Nonostante non sia più parte dell’Unione Europea, il Regno Unito è sempre stata una nazione principale negli affari del Vecchio Continente, sin da quando era formalmente conosciuta come “Britannia” dai Romani. Al giorno d’oggi, è da 12 anni consecutivi che al Partito Conservatore viene chiesto dal monarca di formare un governo. Il sistema inglese non è molto diverso da quello italiano: alle elezioni si scelgono i membri del Parlamento; il leader del partito che vince diventa “ufficiosamente” Primo Ministro (il processo non è codificato, ma è ormai una convenzione) e sceglie i membri del suo gabinetto (Consiglio dei ministri) tra i membri eletti del Parlamento. Il governo viene formato e governa la nazione in nome del monarca. Ciò detto, con le primarie tenutesi il 5 settembre 2022, Liz Truss è diventata la leader dei Conservatori dopo le dimissioni di Boris Johnson del 7 luglio, e ad oggi è l’attuale Primo Ministro. Tuttavia, né lei né lui sono mai stati capaci di attrarre abbastanza stima e fiducia da poter essere considerati la faccia del Vecchio Continente: lei per la sua storia e per il suo abissale tasso di gradimento, lui per i vari scandali che hanno accompagnato la sua Premiership. Qualcuno potrebbe arrivare a dire che il Regno Unito post-Brexit abbia perso lo status di “Grande Nazione” anche in Europa, ma è un’affermazione molto azzardata. I politologhi dovranno osservare ancora l’evoluzione di questo Paese e la sua salute dopo le grandi transizioni a cui è andato incontro; quello che rimane certo è che la faccia degli sforzi europei non potrà essere l’anglosassone signora bionda. Forse lo era negli anni ’80, ma sicuramente non oggi.

Sul tema della bionda chioma, ritengo opportuno passare in rassegna l’ultimo Paese dei quattro elencati sopra. Difatti, con tutta probabilità quello sarà il colore di capelli della persona a cui Sergio Mattarella affiderà l’incarico di formare un nuovo governo. Giorgia Meloni, ma più alcuni membri del suo partito ed episodi che li hanno visti coinvolti, sono stati al centro di un’asperrima campagna mediatica. Si tralasceranno queste introspezioni, che meriterebbero un articolo a sé, ad un secondo momento. Quello su cui bisogna concentrarsi è l’opposizione tra lo scorso governo, capitanato forse dalla persona più europeista tra tutta la lunga lista di Presidenti del Consiglio della storia repubblicana, e quello che arriverà a prendere le redini, il più sbilanciato a destra dello stesso lasso di tempo. La stampa internazionale ha reagito prontamente e polarizzandosi: coloro che temevano un ritorno dell’ultranazionalismo e del neofascismo, e coloro che si dicevano fieri e meditavano su come una simile figura potesse trionfare nel loro Paese. È purtroppo qui che si fermano i dati oggettivi: forse Mario Draghi era la persona diventata sinonimo dell’UE; forse la Meloni, con la sua grinta sull’identità nazionale, sarà quella che farà rendere conto alle istituzioni europee che è giunto il momento di un aggiornamento. Ciò che rimane da dire è che nemmeno nel Belpaese si può trovare il volto in cui l’Unione possa trovare il suo collante. 

Tra chi è troppo preoccupato per i propri affari interni e chi non è più al governo, sembra che nessuno tra i quattro “big” d’Europa riesca ad unire il continente sotto la sua guida. Questa situazione è poco chiara e lascia alcune domande aperte. 

Forse non saranno loro a fornire, seppur simbolicamente, queste figure? Non si può dare una risposta certa: ne è passato di tempo da quando Ernst Reuter, il primo sindaco di Berlino Ovest dopo l’erezione del muro ha unito l’Europa occidentale contro il comunismo e da quando Margaret Thatcher ha portato i primi dogmi del Reaganesimo in UK. Ciò che possiamo aspettarci per il futuro è una maggior distribuzione di potere (simbolico), in particolare dopo le spinte di Spagna, Polonia e Danimarca per delle istituzioni europee più inclusive e più disposte ad ascoltare degli Stati tradizionalmente meno considerati.

 Che non sia possibile identificare una figura simile in UE? Improbabile. Ogni schieramento geopolitico ha bisogno di un proprio leader, che sia esso un’autocrazia, una Repubblica Popolare o una democrazia. È certamente più facile identificare una persona simile entro i confini di una sola nazione; è allora necessario, se si ritiene che serva un “Mr. Europa”, centralizzare maggiormente altri aspetti amministrativi finora delegati ai singoli Stati: il primo esempio che viene alla mente, vista la situazione, è un esercito comune. Fin quando le nazioni europee rimarranno così frammentate, così necessariamente costrette a fare da sole i propri interessi, l’Unione resterà soltanto un filo di spago che tiene uniti dei pezzi del puzzle che non combaciano. 

Daniele Erminio Petecca di Riforma e Progresso

IL TERZO POLO HA GIA’ FALLITO

IL TERZO POLO HA GIA’ FALLITO

Lettera aperta di un fu “possibile elettore” 

Ciò che segue sono le riflessioni di un ragazzo che per la prima volta avrà modo di esercitare il suo diritto di voto. Un ragazzo che, pur soffrendo di questa scelta, andrà al seggio solo per annullare la sua scheda

A luglio cade il governo Draghi, il quale pur non essendo stato un governo dalle decisioni incriticabili, è senza ombra di dubbio quello che ha goduto della maggior fiducia da parte del sottoscritto, il quale si definisce semplicemente a-ideologico e razionale. Le motivazioni di questo sentimento positivo nei confronti del governo passato non sono da ascrivere unicamente alla figura del Presidente del Consiglio, il quale certamente è garanzia di competenza e razionalità, ma anche per le decisioni prese nel pratico. Oltre a diverse nonostante alcune siano state discutibili (a mio avviso sono però riconducibili principalmente ad accordi con i partiti) nelle materie di cui egli ha deciso di occuparsi ha lavorato in modo del tutto alieno rispetto ai politici italiani. Niente promesse farlocche, niente propaganda spicciola e niente indebitamenti folli al di fuori dei fondi del PNRR. Potreste pensare: “ma per così poco?” ebbene sì, visto e considerato che i nostri partiti non arrivano neanche a questo livello minimo di decenza, né durante né dopo la campagna elettorale. Indubbiamente però Draghi non ha governato da solo ed è dovuto scendere a compromessi; il che da una parte lo hanno costretto ad accettare politiche bislacche come i bonus e dall’altra ha avuto le mani legate riguardo alcune questioni che nessun partito vuole vengano affrontate (e ne parlerò a breve). 

 

Inizia quindi l’estiva campagna elettorale, la quale tra la delicata situazione internazionale, i fondi del PNRR a rischio e la possibilità di un’ulteriore possibile ondata di Covid si prospettava come la più ridicola e rivoltante di sempre. Per ora è in linea con le mie aspettative se non un pochino peggio. Ivi però mi concentrerò sull’area politica che più ho seguito con interesse non essendo né fascista o putiniano né un pensionato nostalgico di Berlinguer. Mi riferisco quindi all’area del centro i cui partiti sono +Europa, Azione e Italia Viva. 

Breve ricostruzione: Azione e +E partono come federazione, l’intenzione è quindi quella di presentare una lista comune, mentre IV resta in disparte. La Federazione decide quindi di allearsi con il Partito Democratico con un accordo sui collegi uninominali molto vantaggioso. Questa scelta venne aspramente criticata dalla base dei partiti in quanto un’alleanza con il PD costituiva per proprietà transitiva un’intesa con Sinistra Italiana e Verdi i quali sono abissalmente distanti dal centro per quanto riguarda le politiche energetiche, ambientali, e internazionali. Il PD prosegue con il suo intento di costruire una sola grande coalizione che abbia come unico obiettivo non far vincere la destra e invita a parteciparvi anche gli ex pentastellati sotto la guida di Di Maio. Calenda quindi ribalta il tavolo e rompe sia l’Alleanza con il PD sia la federazione con +E. A quel punto Azione raggiunge (comprensibilmente) il massimo livello di sfiducia il che lo avvicina a IV; i due partiti decidono di correre insieme e nasce il “Terzo Polo”. 

 

Credo sia inutile sottolineare quanto questa dinamica sia imbarazzante per tutte le forze in gioco (eccezion fatta per Renzi che ha saggiamente deciso di rimanere in disparte fino all’ultimo evitando figuracce). Quella che ne esce peggio di tutti è però Azione che rimbalzando da una coalizione all’altra in questo modo comunica solo incapacità decisionale e di pianificazione strategica. La conseguenza non può che essere un mio forte tentennamento riguardo la decisione di votare, già traballante dopo l’alleanza con il PD. Che garanzia ho che in parlamento Calenda non si comporti come una scheggia impazzita similmente a questa circostanza? Decido però di attendere il famigerato programma del Terzo Polo, quello, che scevro da compromessi dovuti a un’alleanza con la sinistra, avrebbe dovuto essere il programma dei competenti, l’Agenda Draghi, magari non uno perfetto, ma qualcosa che mi avrebbe permesso di votare convintamente il “meno peggio”. Se sto scrivendo questa lettera aperta evidentemente così non è stato. Per quanto mi riguarda questo programma è la pietra tombale che sancisce definitivamente il fallimento del Terzo Polo a meno di un mese dalla nascita. Di seguito spiegati i motivi per cui la penso in questo modo. 

 

Un “meno peggio” a mio avviso si può definire tale se e solo se pur non rappresentando le mie idee a pieno quantomeno costituisce una vera alternativa agli altri, qualcosa che si distingua, che costituisca un punto di rottura. Tuttavia il programma del Terzo polo l’unica cosa che ha rotto è stata la mia pazienza. Il programma cerca unicamente di farli apparire come gli “alternativa alla destra e alla sinistra”. Per esempio sono più razionali della sinistra in tema di ambiente ed energia, ma scelgono l’ambiguità nei diritti civili tipica della destra. Se Calenda giustamente critica Letta di aver impostato la sua campagna elettorale, in modo imbarazzante e populista, presentandosi solo e unicamente come “L’alternativa alla destra” bisognerebbe far capire al leader di Azione che in realtà sta facendo la stessa identica cosa, ma con un fronte nemico in più: “non la destra e non la sinistra”. Il piano non è fare “politica nuova” è cannibalizzare Forza Italia, il quale sta prestato il fianco in quanto eccessivamente asservito agli altri partiti di destra lasciando scontenti molti moderati. Io mi rivolgo a chi come me si definisce razionale, ma è ancora persuaso a votare, veramente pensate che un “Forza Italia” pre Salvini sia un partito alternativo? Una speranza per il paese? Potreste pensare che sto esagerando, ma se il programma non vi ha reso evidente di questa decisione di posizionamento politico, controllate quanti Ex membri di FI sono ora candidati nel Terzo Polo e guardate a chi è rivolta la loro comunicazione. Sono spiacente, ma l’assenza di Berlusconi non mi fa pensare che un partito che condivide idee, politici ed elettori sia qualcosa di diverso da una versione moderna e sbiadita di Forza Italia. Partito, che ricordiamolo, fu uno dei maggiori responsabili del rischiato fallimento del Paese. 

 

“Ma cosa avresti voluto in più nello specifico?” per prima cosa un’esplicita presa di posizione progressista sui diritti civili (giusto per rimetterci in pari con il resto del mondo occidentale): eutanasia, matrimonio egalitario, legalizzazione della cannabis…  sarebbe stata una decisione importante, ma non strettamente fondamentale. Il punto del programma che denota la mancanza di volontà del Terzo Polo di essere qualcosa di diverso e che quindi ne implica il fallimento è l’approccio alle pensioni e alle coperture. In generale le coperture sono l’argomento più spinoso di un programma e tradizionalmente i politici italiani per affrontare questo delicatissimo e fondamentale tema decide di: 

 

  1. Mentire: dire che le coperture ci sono quando non è così o non avere davvero intenzione di applicare la proposta, ma usarla solo a fini propagandistici oppure promettere che il loro provvedimento avrà un impatto così positivo da auto-finanziarsi (che nel migliore dei casi è una roulette Russa e infatti questo metodo piace tanto alla Destra). 
  1. Proporre un metodo di ricavare le risorse che in un qualche modo fa appello alla narrativa ideologica di riferimento: non ha importanza che funzioni o meno e le possibili conseguenze collaterali. (questo piace tanto alla Sinistra). 
  1. Glissare completamente: evitare di accennare alla questione e sperare che nessuno se ne renda conto. Spesso si ricorre alla menzogna quando messi alle strette (metodo prediletto dal Terzo Polo). 

 

Il Terzo Polo oltre a non discostarsi dalla tradizione, e propone un programma con un buco di svariate decine di miliardi, per quanto riguarda il tema delle pensioni la faccenda acquisisce una sfumatura grottesca. Per chi ad oggi non lo sapesse; ogni singola analisi economica e di mercato dimostra che la pressione fiscale che serve per mantenere le pensioni in essere sta strangolando il nostro paese. Le tasse sono così alte che alzarle ulteriormente è un suicidio sia sul piano politico che economico, il che costringe a dover ricorrere a deficit e scostamenti di bilancio per le politiche sprovviste di coperture, così il debito pubblico si gonfia e quindi avremo meno risorse in futuro, quindi più deficit e così via. Tutto ciò senza considerare che il rapporto tra pensionati e lavoratori peggiora di anno in anno. Non vi è alcuna via di uscita dai problemi di questo paese se non fare i conti con la realtà. E affrontare la realtà significa tagliare la spesa pubblica, in primo luogo rimodulando le pensioni (ovviamente in modo progressivo) per abbassare le tasse e il debito pubblico. E la cosa grottesca è che il programma del Terzo Polo (i competenti) sembra voler evitare anche solo di nominare il termine “pensione” in modo del tutto simile al PD (mentre a destra si pensa solo a stratagemmi geniali per peggiorare ancora di più la situazione). 

Sicuramente riceverò svariate obiezioni simili a: “eh ma così vince la destra” o “eh ma gli altri sono peggio”, mi spiace, ma se ancora la pensate così forse non avete letto attentamente la lettera o forse siete ex elettori di Forza Italia. Ho però io delle domande per voi; 

 

Vi fidate di chi è incapace di programmare stabilmente un’alleanza? 

Vi fidate di chi cerca di replicare Forza Italia in tutto e per tutto (Berlusconi escluso)? 

Vi fidate di chi si propone come l’alternativa, ma non ha il coraggio di distinguersi

Vi fidate di chi sostiene di essere dalla parte dei giovani, ma poi gli promette solo bonus e non la riforma della spesa pubblica di cui i giovani sono i primi a necessitare? 

Vi fidate di chi dice di seguire l’Agenda Draghi, ma poi non propone quello che l’ex primo ministro avrebbe voluto fare se avesse avuto piena libertà decisionale, ma a malapena ciò che avrebbe fatto nonostante i mille paletti di un governo di larghe intese? 

La mia risposta a tutto ciò è No. E quindi ecco perché non lo voterò

Francesco Fusco di Riforma e Progresso

IL CONCETTO DI GIUSTO

È GIUSTO O NON LO E’?

Nel Critone di Platone, Socrate afferma “E’ meglio patire ingiustizia che commetterla”.
È con questa affermazione che Socrate il giorno seguente fu costretto a bere cicuta dopo esser stato
condannato a morte con l’accusa di corrompere i giovani e voler introdurre nella città nuovi Dei;
rimanendo però fedele alla sua etica eudemonistica, ovvero l’uomo può ottenere la felicità solo
agendo in rapporto al mondo in modo buono e giusto.
Ma il famoso filosofo aveva ragione? Molti sarebbero in disaccordo e sono coloro che pensano prima
al benessere del singolo individuo, al proprio tornaconto personale e preferirebbero commettere
un’ingiustizia a danno dal altri se quest’azione risulterebbe vantaggioso per sé stessi.
Dimenticandosi dell’esistenza di una società che poggia il suo equilibrio proprio sulla coesistenza
tra i singoli individui. Al contrario chi decide di condividere questa visione della convivenza, si può
mettere su uno scalino superiore verso la strada di una reale integrazione.
E per quale motivo le persone commettono ingiustizia? Forse coloro che la commettono non lo
fanno in modo razionale e consapevole, ma lo fanno pensando che sia il bene per sé stessi.

Questo perché? Perché l’uomo non sa quale sia il bene e quale sia invece il male proprio per la difficoltà di
riconoscerlo, azioni che possono risultare sbagliate possono essere giuste se messe in un contesto
differente; dunque, nel cercare di capirlo, spesso smarrisce la retta via commettendo dei peccati.
Non possiamo sapere con certezza quale sia il bene comune, in quanto difficile da individuare ma di
certo sappiamo bene qual è il nostro bene personale e, nel tentare di realizzarlo, accettiamo il fatto
di poter peccare a danno d’altri.
Cosa significa “Giusto”? Nel mondo greco-romano il concetto di giustizia ha il fondamento non
nell’uomo, ma nella realtà ideale, come principio materiale o come principio ideale. Da un concetto
di necessità che mantiene ogni cosa nel proprio ordine la giustizia passa a significare un principio
naturale di coordinazione e di armonia nei rapporti umani. Per il vocabolario odierno invece la
giustizia è una virtù eminentemente sociale che consiste nella volontà di riconoscere e rispettare i
diritti altrui attribuendo a ciascuno ciò che gli è dovuto secondo la ragione e la legge. In entrambi
casi il fulcro della giustizia è la corretta coesione di tutti i popoli, il corretto riconoscimento della
diversità dei diritti e delle tradizioni altrui; inoltre, il dovere di rispettare le leggi, imparando,
attraverso uno studio critico della verità, a riconoscere quelle ingiuste da quelle giuste.
“Ciò che tu eviteresti di sopportare per te, cerca di non imporlo agli altri”

Lorenzo – Follower di Riforma e Progresso

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